domenica 29 marzo 2009

Recensione: Fast & Furious - Solo parti originali


A sette anni di distanza dal primo F&F, tornano in sala Dom Toretto e Brian O’Conner. Il cattivo, che sotto sotto è un bonaccione, e il bravo ragazzo dalla faccia pulita, che si sente sé stesso solo quando si trova a fare il delinquente come infiltrato.
Dopo gli esperimenti di “2Fast, 2Furious” e “Fast & Furious – Tokyo Drift” si torna all’antico, a quella chimica che consacrò Vin Diesel, e lanciò Paul Walker e Michelle Rodriguez, attraverso l’idolatrazione pagana e godereccia di macchine fiammanti iperpacchiane e ragazze seminude che si dimenano senza motivo allietando ogni momento della giornata del gangster/pappone/spacciatore modello. L’ultimo esperimento si culla sugli allori di questo mondo, che sembra vivere esclusivamente in una certa Hollywood del blockbuster d’azione e non trovare un proprio corrispondente nella vita reale, facendo anche meglio dell’originale. L’ottima fattura formale, ed una storia che assume toni meno epici, per incunearsi un po’ di più all’interno dei personaggi storici della serie, si rivelano sin da subito una sorpresa. Sarebbe stato lecito attendersi un sequel senz’anima, tra il remake e l’amarcord, ed invece “F&F” rinvigorisce un genere, quello dell’action movie ambientato nel mondo delle corse clandestine, che inventò nel 2001, attestandosi come capostipite indiscusso del filone dei 2000s. Un filone che ha partorito perlopiù fenomeni da baraccone, con le relative disfunzioni insostenibili, vedi “Torque”, andando a prendere infelicemente il posto di quell’azione-spazzatura che l’era post-Stallone/Schwarzenegger ha generato.
Bisogna digerire il fatto, soprattutto dalle parti degi Studios losangelini, che costruire un buon film d’azione, come è “F&F-Solo parti originali”, non è facile. Bisogna trovare le facce giuste, e Diesel e Walker ce l’hanno, il regista giusto, Justin Lin già nello scialbo “Tokyo Drift” evidenziava una buona conduzione delle scene ad alto dinamismo, trovare il giusto dosaggio tra macchine e ragazze, esibendone l’appeal senza stomacare chi guarda (più facile accada con le auto); e nel fare tutto questo non bisogna dimenticarsi di dare un’anima a chi guida le macchine.
Proprio qui il film spiazza gli scettici, la sceneggiatura di Chris Morgan distoglie l’attenzione dalle macchine, a dispetto di quello che fa, e bene, la regia, poco si cura delle storie d’amore, quella tra Toretto e Letty (Michelle Rodriguez), quella tra O’Conner e Mia Toretto, ma si immerge negli spettri dei personaggi principali. La rumorosa coscienza dell’agente O’Conner, che si deve confrontare col torbido in cui sguazza, dovendo amettere che ci si trova alla grande, come fosse nato per star lì. La riabilitazione del criminale, che Toretto imbocca come fosse una strada quasi necessaria al percorso di formazione del proprio personaggio, il quale domina la propria sete di sangue per non appiattire irrimediabilmente la pellicola.
Chi si farà un giro per il mondo sotterraneo delle corse e del narcotraffico messicano di “F&F” rimarrà sorpreso dalla completezza di un’opera che va ben oltre le aspettative che porta in dote.
VOTO 70/100

lunedì 23 marzo 2009

Recensione Film: Che - El argentino


Lo sgranato di un bel bianco e nero ci porta per mano nel cuore dello storico discorso che il Che fece alle Nazioni Unite nel 1964. Ed allora, con un’immagine cromaticamente azzerata, la voce del Che, che perentoria e coinvolgente dichiara al mondo intero “Patria o morte”, elettrizza ancor di più lo spirito rivoluzionario che cova in ognuno. E proprio la revoluciòn, l’ideale, il sacrificio, la dedizione, sono i combusitibili che hanno fatto ardere vita natural durante l’animo del protagonista che, da questa prima parte del biopic di Soderbergh, ne esce poco nitido e mal contornato, ma comunque carico di un fascino magnetico, innegabile nel personaggio.
Gli occhi stanchi che la sanno lunga di Benicio Del Toro vanno perciò oltre tutto quel che l’impacciato Soderbergh narratore ha intenzione di fare e dire. Il percorso macchinoso e troppo ascrivibile al mockumentary che il regista di Traffic percorre qui, rischia di distogliere l’attenzione, di portarla eccessivamente sui toni populistici e di rapida decodificazione della lotta continua del Che contro l’oppressore nordamericano, perdendosi per strada la quintessenza dell’uomo, descritta meglio nei Diari della motocicletta. Il film è assolutamente ridotto e follemente fissato con le boscaglie e l’addestramento delle truppe rivoluzionarie di Castro, quando sfidava Batista, scene sempre uguali, che hanno insito però il merito di non etichettare la biopic tra le solite spettacolarizzazioni hollywoodiane delle vite dei grandi della Terra.
Il salto continuo tra l’ascesa del battaglione 26 Luglio e le dichiarazioni all’ONU stilizzano l’immagine del Che tra le sue due nature, di guerrigliero concettuale prima, e di politico post-rivoluzionario poi. Una duplice pulsione che ne ha caratterizzato l’esistenza, Che Guevara rimane uno dei pochissimi casi in cui l’uomo dipende così strettamente e visceralmente da ciò che ha fatto nella propria vita, anche e soprattutto in quel che dice, che la scelta, azzardata e complessivamente discutibile, di Soderbergh pare da questo punto di vista l’unica percorribile per raccontare l’uomo Ernesto Guevara.
In pratica il film fa scelte impopolari, dal punto di vista del marketing cinematografico soprattutto, ma è eticamente più vicino a ciò che il Che era per sé stesso, sicuramente più dei Diari della motocicletta, che però al cinema sono di tutt’altro piglio ed appeal. Soderbergh sceglie la coerenza del personaggio, e la fa sua, portando alla ribalta un qualcosa di farraginoso, rabberciato e poco avvincente, che, quando scorrono i crediti, lascia però a chi l’ha visto una forte ombra di un personaggio straordinario e modello sempiterno del rivoluzionario innamorato della libertà e della giustizia, che può, e il più delle volte deve, essere percorsa attraverso il sangue e il sudore.
VOTO 61/100