domenica 19 aprile 2009

Recensione: Earth


La Disney Nature è pronta a prenderci per mano, ed immergerci nella natura incontaminata e mozzafiato che ricopre le zone (a noi) remote del pianeta. Un’esperienza rigenerante ed incredibile quella che la voce di Paolo Bonolis ci racconta, una visione che, però, ci scaraventa anche di fronte alle nostre responsabilità. La posizione di predominanza che la nostra specie ha naturalmente assunto ci ha portato, sempre naturalmente, a distruggere la Terra che ci ospita, nelle modalità più disparate possibili, riempiendoci la bocca, perlopiù nei momenti di relax, di parole e progetti “per l’ambiente” mai realizzati o fortemente perseguiti dalla comunità internazionale. Il documentario che la Disney e la Bbc confezionano si affida ad una potenza visiva che vale, da sé, la visione. Storie di animali in difficoltà per la sopravvivenza, una ‘famiglia’ di orsi polari, un elefante e due megattere saranno protagonisti di dure odisee, alla ricerca di quell’habitat che riscaldamento globale ed inquinamento hanno sottratto loro. Il Polo, il deserto e l’oceano allora diventeranno le vere star del docu-film, gli attori non accreditati di un urlo di dolore corale che arriva dal cuore della Terra. Tutto decodificato attraverso la percezione umana del concetto di famiglia e amore verso i figli, al quale “Earth” rimarrà forse un po’ troppo appeso per tutta la sua durata. Avremmo preferito un’emancipazione totale dalla voglia di umanizzare ogni espressione della natura, particolarmente disneyana, prediligendo il messaggio ambientalista che un tuffo nella natura nuda e cruda avrebbe saputo sopportare meglio. Resta la qualità tecnica della pellicola a renderne giustizia, gli amanti della natura rimarranno senza parole di fronte a cotante virtù del nostro pianeta, raramente immortalate così dall’occhio umano. Rimanere a guardare la divina perfezione di un ecosistema in crisi sarà il compito di chi guarda, cominciare ad attivarsi nel proprio piccolo, con tutto quello che un’assennata economia domestica può apportare, il compito di chi, oltre a guardare, sa anche rifletterci su. Un buon esperimento, sia dal punto di vista del puro entertainment, che da quello del messaggio globale, quello di “Earth”, che, se da un lato appare un po’ troppo demagogico e generalizzato, dall’altro ci mette di fronte ad una bellezza che ignoriamo, ad una maestosità al cospetto della quale dovremmo, intimoriti, chinare il capo (avvenimenti recenti ce lo insegnano), e non perseguire la falsa chimera di un benessere a breve gittata, senza saper guardare al (dopo)domani.

VOTO 71/100


martedì 7 aprile 2009

Recensione: Gli amici del Bar Margherita

Continua l’Odissea nostalgica di Pupi Avati all’interno del suo cinema, di quelle atmosfere che ha vissuto e raccontato anni orsono. “Gli amici del Bar Margherita” è proprio per questo un film che racconta un’Italia che il cineasta bolognese conosce bene, impreziosito da una carrellata di personaggi, perlopiù macchiette, raccontati con umorismo cinico e sardonico.
Il filtro surreale che Avati sceglie genera nello spettatore una sensazione duplice, da un lato lo isola rispetto alle storie che, vista l’insolita attitudine di chi le trama e le vive, si succedono piuttosto rapidamente e con leggerezza, dall’altro mitizza l’epoca in cui il tutto si svolge, obbligando lo spettatore a rimanerne assolutamente affascinato e devoto. Ecco il motivo della riuscita del film di Avati, usciti dalla sala ci si trova di fronte all’irresistibile magnetismo di un periodo in cui tutto era ancora ben delineato, dove quello che facevi era legato indissolubilmente con chi eri e la costruzione della propria immagine aveva una valenza ancora di riconoscimento sociale. Da qui gli inganni, i tradimenti, le truffe, la mistificazione della propria natura che si alternano con intermittenza incalzante, disegnando un’umanità piccola e falsa con rara ispirazione descrittiva dell’autore.
A dispetto di questo buono che “Gli amici del Bar Margherita” evidenzia la pellicola soffre di una disarmonia generale che, alla lunga, tende a sfilacciare l’intero impianto. Le troppe storie che s’incrociano sono evidentemente un limite, si racconta troppo, facendolo male. Per mettere tanta carne al fuoco si perde per strada l’integrità stilistica che il film avrebbe meritato.
A conti fatti Pupi Avati si coccola un film che gli cuce bene addosso, in una versione di sé stesso (per fortuna) meno austera del solito, con un risultato complessivamente godibile, ma che balbetta quando lo si guarda nel complesso, a mente fredda, troppo legato alla natura episodica delle storie che lo compongono.
VOTO 65/100