domenica 13 maggio 2007

Recensione: XXY

Il maschio e la femmina, il frocio e il macho, l’odio e l’amore, il normale e il diverso


L’argentina Lucia Pienzo ha scelto, per la sua opera prima, una tematica decisamente inconsueta, raccontandola come forse mai nessuno prima aveva fatto sul grande schermo. Alex è un’ermafrodita, ha 15 anni e si trova di fronte, per volontà altrui, ad una sorta di bivio esistenziale, dovendo fare i conti con le pulsioni sessuali che gli arrivano da entrambe le peculiarità della sua natura.
La cineasta argentina ha avuto un gran coraggio, ed ha affrontato la delicata questione con una sensibilità artistica ed un realismo sociale davvero fuori dal comune, evitando il più che ha potuto ogni semplicistica discesa verso lo scabroso o il melodrammatico.
Tralasciando le (in questo caso) futili esplicazioni sinottiche, bisogna focalizzare l’attenzione sulla semplicità e la linearità del registro narrativo qui utilizzato. L’intento principale dell’opera, aldilà di quello didattico comunque ben riuscito, è quello di raccontare una storia di diversità, mostrandone la conseguente inquietudine derivata questa volta da un’insofferenza collettiva della comunità sociale non ancora pronta, piuttosto che da una vera e propria questione esistenziale interna al ‘diverso’. Il protagonista del film vede la sua natura d’intersessuale attraverso il filtro dell’opinione altrui, di genitori e coetanei, filtro che gliela distorce, rendendolo imbavagliato in un’emarginazione obbligata. Freddezza, raccapriccio e paure comuni non sono comunque gli unici elementi rivelatori dell’animus dell’opera.Il personaggio di Alex manifesta nella sua quotidianità e nella sua idealizzazione interpretativa un amore disinteressato e totalizzante nei confronti della vita, una spensieratezza inaspettata persino in qualunque altro suo coetaneo alle prese con l’adolescenza.
La questione dell’ermafroditismo fa poi da sponda ad una serie di tematiche adiacenti che diventano anch’esse vertebre di una stessa armoniosa spina dorsale. Tematiche quali la promiscuità adolescenziale, l’omosessualità latente, la conflittualità generazionale vengono tutte affrontate in modo collaterale o indiretto, mai superficialmente.
La cifra stilistica asciutta e mai ridondante dona crudezza ed intensità alle sensazioni contrastanti che si susseguono. La fotografia fredda e l’onnipresenza del brusio del mare collocano le vicende in uno scenario poco definito e dalle dimensioni spazio-temporali continuamente dilatate. Il lavoro della regista con la macchina da presa è sempre ragionato e non distoglie mai l’attenzione dalla problematica principale del film.
XXY mostra però il fianco quando la direzione del film strumentalizza, ai limiti del banale e dello schematizzante, alcune sequenze poco digeribili per raccontare con maggior impatto un disagio già ben delineato dalla sceneggiatura stessa, rischiando di cadere in trappole che la natura propria del film sembra voler esorcizzare sin dall’inizio.

In conclusione questo piccolo low cost movie argentino, che ha vinto nel 2007 la Semaine di Cannes, ha nelle sue corde una forza devastante, non totalmente espressa per la verità, che avrebbe potuto avere un impatto sempre silenzioso ma ben più distruttivo sul pubblico di tutto il mondo. XXY non risulta catalogabile sotto una qualche voce degli archivi della cinematografia che meglio conosciamo: è a modo suo un’opera singolare e plurale, drammatica, ma piena di vita, un po’ come d’altronde lo è Alex, un po’ maschio, un po’ femmina, un po’ vivo, un po’ morto, anzi ucciso.