mercoledì 2 aprile 2008
Recensione film: Nessuna qualità agli eroi
Bruno è un uomo francese che vive a Torino: sulla quarantina, depresso, insoddisfatto, indebitato e, senza che la moglie lo sappia ancora, sterile. Luca è figlio di un direttore di banca che usa il suo impiego di facciata per fare strozzinaggio ai clienti morosi. Le vite dei due si incrociano a causa dei debiti di Bruno, anche se lui ancora non lo sa, e si scrutano parallele accomunate dall’insofferenza che entrambe hanno per due padri troppo soffocanti, ognuno a modo suo. Il padre di Bruno è infatti un pittore di successo, e lui non ha mai accettato la preminenza del suo ruolo, neanche dopo la dipartita dello stesso.
Quando poi il padre usuraio scomparirà, le vicende porteranno i due protagonisti ad incontrarsi più volte, attraendosi e respingendosi, arrivando alla risoluzione del mistero in un finale non di certo lieto.
Il film di Franchi si discosta dal trend nostrano, andando a sgraffignare, nel quid della propria natura, qualcosa ai crismi del cinema europeo d’autore: il nichilismo di fondo dell’opera totalizza anche la resa formale della stessa. Ogni inquadratura ha un forte peso specifico, la dilatazione continua delle dimensioni spaziotemporali patetizza le sensazioni dei protagonisti, creando una dimensione parallela alla realtà. L’uso di tale tecnica fa rimbombare in modo esponenziale il vuoto dell’animo umano che sembra annullare le vite dei protagonisti.
Introspettivo ai limiti dell’analisi psicologica, non a caso il regista ha una cartella clinica che lo definisce nevrotico compulsivo, l’opera bilancia la preminenza delle due figure maschili con due figure femminili, che, nonostante le personalità siano inizialmente volutamente offuscate dal plot, si riveleranno un mix passione carnale allo stato più brado del termine per i propri uomini e di razionalità materna.
Anche l’assennato uso della lingua francese, in contrapposizione con l’italiano, amplifica la sensazione di solitudine di Bruno; che nutre la sua depressione vivendo due vite, una rapportandosi in modo mendace con la sua sfera privata e l’altra barcamenandosi in un mondo esterno che non lo considera degno di farne parte, nella quale incontrerà Luca.
Franchi affronta l’interiorità di due uomini di generazioni adiacenti, mettendoli anche, e soprattutto, a confronto con l’insostenibile rapporto con i loro padri e con la paternità più in generale nel caso di Bruno, che si rivelerà poi non essere altro che una ricerca della propria emancipazione da ogni tipo di autorità che la famiglia e la società impongono.
Il regista forse avrebbe potuto dare più spazio alla sfera onirica delle vicende, che viene affrontata esclusivamente in due brevi scene, dando la sensazione di un accenno poco giustificato che avrebbe avuto bisogno di una maggiore analisi oppure di una totale indifferenza.
L’uso del sonoro è assolutamente azzeccato e funzionale all’omogeneità del corpus della pellicola, rumori estremamente sordi o insostenibilmente acuti vengono sempre seguiti da silenziosi stacchi a seconda dell’umore, depresso o schizofrenico, dei protagonisti.
Il cast internazionale fa un buon lavoro, nessuno sembra mai inadatto e la direzione di Franchi sembrerebbe essere stata univoca. Todeschini recita più con la mimica facciale che con la voce, in un insieme che vive di una sceneggiatura scarna, conferendo grande intensità al personaggio; Elio Germano poi, il Golden Boy impegnato, davvero in tutti i sensi, del cinema italiano, da contrapporre ai vari mocciani, mucciniani o scamarci, al cinema anche con Il mattino ha l’oro in bocca e Tutta la vita davanti, offre un’ulteriore conferma del suo riconosciuto talento, veste i panni enigmatici di Luca, esagerando col suo recitato sopra le righe quando serve e rallentando quando la storia lo richiede.
Nonostante gli indubbi pregi e l’elevata qualità della pellicola, la sceneggiatura pecca forse di banalità, lo snodarsi del canovaccio sembra evidente già dai primi passi del film; forse una storia meno prevedibile avrebbe giovato alla manifesta ermeticità formale del film.
Sicuramente film del genere fanno bene alla cinematografia nazionale e possono aprire l’orizzonte del cinema italiano verso lidi balneati, ad oggi, dal solo Bellocchio.
VOTO: 73/100
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