martedì 19 giugno 2007

Sylvain Chomet, il disegnatore sovversivo della tecnica narrativa moderna

Sylvain Chomet è un fumettista e un regista d’animazione dal talento smisurato, e la sua opera omnia, ad oggi, è senza dubbio Les Triplettes de Belleville, malamente storpiato in Appuntamento a Belleville qui da noi. Il disegnatore francese ha fortemente creduto nella sua idea, mettendoci ben 5 anni di lavoro nella realizzazione del lungometraggio e regalandoci una fetta d’animazione d’autore davvero indimenticabile. Champion è un orfano che, ispirato da una vecchia fotografia dei suoi scomparsi genitori che pedalano spensierati, dedica la propria vita alla bicicletta, fino ad arrivare a partecipare al Tour De France.
Ed è proprio durante la sua scalata più faticosa che sarà rapito da un gruppo di scagnozzi che lo porterà oltreoceano per sfruttarlo come ‘pedalatore da soma’ in un perverso passatempo dei mafiosi di Belleville. Madame Souza, nonna ed unico affetto di Champion, seguita dal fidato Bruno, il suo cane squinternato, partirà sulle tracce dell’amato, incontrando casualmente un trio di vecchiette, impolverate glorie musicali da cabaret (una sorta di Trio Kessler per intenderci), che potranno aiutarla, tra mille peripezie, a trovare lo scomparso. Quello di Chomet è un film d’animazione per adulti che incanta per l’accuratezza dei dettagli e la spiccata originalità che trova il suo culmine in una satira splendidamente sottile, che lo attraversa da capo a piedi, senza mai inquinarlo. L’utilizzo della tecnica del cinema muto, zero dialoghi ma tanta musica e rumori, imbriglia lo spettatore in una rete di surrealtà che trova riscontro in alcune scene davvero ben riuscite, come quella di una singolare pesca alle rane per mezzo di bombe a mano da parte delle tre vecchiette. Il disegno di Chomet è spigoloso e carico di particolari, portando ogni personaggio verso la forma caricaturale del proprio carattere; in questo modo ogni maschera di Appuntamento a Belleville, anche se filmicamente muta, ha tanto da dire attraverso la fisionomia del proprio viso, la lunghezza del naso, la propria statura o le proporzioni del proprio fisico. L’opera riporta, nella traduzione psicologica delle vicende, all’imprinting infantile di chi lo sta guardando, che riesce a dare una connotazione caratteriale ai protagonisti esclusivamente dal loro aspetto. L’introspezione tipica del cinema europeo d’autore in mezzo al quale Chomet è cresciuto trova qui il suo rovesciamento diametrale dal punto di vista sia teorico che formale. Le ambientazioni sono a dir poco splendide, si passa da una brulicante Parigi, vittima di un allargamento urbano estenuante, ad una Belleville che si mostra come un’idealizzata New York, retta dal paradosso, quasi cromatico, che la divide tra vicoli sudici e ristoranti pieni di lustrini e luccicori. Tra tutti i personaggi abbozzati negli 80 minuti di pellicola il vero protagonista sembra proprio risultare essere Bruno, cane in preda alle manie di persecuzione, alla solitudine e agli incubi che non lo lasciano un attimo. Questa analisi dell’onirico del cane sembra un ulteriore rovesciamento che il film propone: qui la caratterizzazione tipica del mondo animale infesta gli uomini, ed ecco che i francesi vengono ridotti a spocchiosi mangiarane e gli americani a degli obesi mangiahamburger che non staccano il loro didietro dalle immense auto! I riferimenti attraversano ogni scena, e culminano proprio nella fisionomia di Champion, che sembra essere un vero e proprio omaggio al nostro Fausto Coppi. A conti fatti Appuntamento a Belleville riesce in ogni suo intento, dando una spinta nuova al film d’animazione internazionale, che deve assolutamente rinunciare ad ogni fallimentare tentativo di scimmiottamento dei troppi e inflazionatissimi Shrek o Ratatouille di cui già da soli gli States ci inondano con asfissiante ripetitività, trovando una propria strada fatta di autorialità e qualità superiore.