giovedì 20 dicembre 2007

La bambola dell'amore vale più di quel che costa - Recensione di Lars e una ragazza tutta sua



Lars, introverso ai limiti del caso clinico, vive in un garage nella brulla e assonnata provincia del Midwest, un luogo dove le manie e le angosce tendono ad amplificarsi a dismisura. Gli unici contatti, seppur molto deboli, col mondo esterno sono suo fratello Gus e la moglie. Lars aspira alla trasparenza. Casa – lavoro, lavoro – casa, questo il suo iter quotidiano. Sembra però aver trovato una persona speciale, Bianca, da presentare a Gus e consorte. Il benvenuto che i due daranno alla ragazza sarà decisamente titubante, forse perché in realtà si tratta di una Real Doll, una specie di bambola gonfiabile molto costosa, piena di silicone ed acquistabile solo via internet, molto appetita dai fruitori del genere. Lars se ne prenderà cura e la rispetterà in modo maniacale. La amerà come nessun uomo sa fare, costringendo chi gli sta intorno ad accettarla come una di loro.
La commedia viene usata dal regista Craig Gillespie come semplice pretesto per delineare il dramma di un uomo completamente avulso dalla percezione della realtà in cui vive. Di uno al quale il contatto con gli altri provoca un dolore persino fisico.
La scelta di girare in inverno, ritardando anche la lavorazione, si è rivelata azzeccata. Gli alberi spogli e le pianure nebbiose, stile pianura Padana, evidenziati da una fotografia molto fredda, vanno a braccetto con la solitudine dell’esistenza di Lars.
La sceneggiatura è asciutta, quasi ridotta all’osso. Così il regista può sfruttare al massimo l’immenso talento di un ispirato Gosling, sul quale torneremo, per trasmettere la non attitudine del protagonista ad una vita normale. Un personaggio chiuso in una bolla di sapone infrangibile. I tic e la gestualità impacciata dell’attore preparano un ottimo cocktail di dolcezza, imbarazzo e paura.
Il fatto che l’unica persona con cui Lars parli sia proprio Bianca suona come un’assordante richiesta d’aiuto rivolta a chi non aveva forse saputo stargli vicino fino a quel momento.
Un film di una sensibilità davvero superiore alla media, che parla dei sentimenti più puri della vita usando i toni sommessi di un’educata commedia. Che tratta l’amore in un modo spesso infantile, risalendo diretto alla genesi di un istinto puro e senza montature.
Lo stile di Gillespie porta tutto all’essenza. Lars e una ragazza tutta sua è un film che fotografa un soggetto assurdo attraverso il filtro della realtà. Niente è artefatto o arzigogolato, e nemmeno la metamorfosi graduale del protagonista segna un’eccezione dal trend essenzialista di tutta la pellicola. I prolungati silenzi e la quasi assenza di colonna sonora fan sì che a tratti il film scorra un po’ lento, questa sembra però essere una scelta plausibile fatta dal regista nell’ottica di un insieme scarno ma comunicativo.
L’intera cittadina gioverà della presenza di Bianca, come se un oggetto nato per soddisfare le perversioni di qualcuno si trovi invece a colmare un vuoto affettivo nell’immaginario di un’intera comunità annoiata.
Il film va avanti tra scene esilaranti e momenti d’incerta ripetitività di alcuni leit motiv già ben snocciolati in precedenza. La più grande sorpresa è che questo è un pezzo di cinema che sa davvero emozionare. E allora, quando uscirà il 4 Gennaio 2008 nelle sale, non sarà difficile sorprendere qualche vicino asciugarsi le lacrime causate dalla morte di una persona che non è mai stata viva, almeno dal punto di vista biologico.
Un altro motivo per cui appoggiare il progetto Lars è la presenza dell’attore forse più promettente del momento che, subito dopo una nomination agli Oscar, si lancia anima e corpo in un'avventura dal modesto budget, ma dalle ottime potenzialità. Strepitoso in The Believer, Half Nelson e il recente Il caso Thomas Crawford, Gosling questa volta supera ogni pur ottimistica aspettativa, dando al personaggio una solida fragilità che forse nemmeno la sceneggiatrice Nancy Oliver aveva ipotizzato scrivendo il plot. Di tutto rispetto anche le performance, per niente facili, del resto del cast: da Emily Mortimer, che aveva già ben figurato in Matchpoint di Woody Allen, a Paul Schneider, qui nel ruolo di Gus.
Si può dire che il 2008 del cinema indipendente nascerà sotto una buona stella se questa commedia drammatica avrà la visibilità che merita. Una pellicola che sa scuotere anche gli animi meno recettivi con il suo linguaggio estremamente semplice e il suo tenero sguardo alla vita e all’amore. Un trend di fare cinema interessante, che mira a commuovere il pubblico senza shockarlo con le solite immagini poco digeribili di malattia e violenza.

VOTO: 71/100

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mercoledì 19 dicembre 2007

Rob Zombie a corrente alternata - Recensione di Halloween - The beginning

Uscirà nelle nostre sale il 4 Gennaio 2008 il prequel di Halloween, horror di culto datato 1978.
Michael Myers, uno dei più noti assassini seriali degli States, viene qui raccontato ripercorrendo le tre fasi della sua vita di mostro. Dall’infanzia solitaria alla reclusione in riformatorio, per arrivare poi all’evasione. Le origini di una leggenda del male scandite dalle notti di Halloween, particolarmente gradite a Myers per compiere efferati omicidi di massa stile Manson.
Sono passati quasi 30 anni da quando Carpenter terrorizzava l’America con uno dei pochi horror universalmente apprezzati. Oggi lo scomodo compito di rievocarne gli incubi è stato affidato al regista/sceneggiatore più sorprendente e d’avanguardia dell’industria del terrore degli ultimi anni, Rob Zombie. Una rockstar e un director di culto per gli appassionati del genere. Uno che ha fatto il botto gettando nelle sale La casa dei 1.000 corpi, un film tanto assurdo quanto efficace, a cui ha fatto seguito il sequel La casa del diavolo, baciato dal medesimo successo.
Anche stavolta Zombie si è portato dietro quel manipolo di pazzoidi che hanno collaborato con lui nei precedenti lavori: dal direttore della fotografia Phil Pharmet al suo manager-produttore Andy Gould, fino ad arrivare alla moglie del regista, Sheri Moon Zombie. Questa volta però la sontuosa produzione gli ha anche permesso di levarsi uno sfizio: quello di ingaggiare il protagonista di Arancia Meccanica, suo film preferito, Malcom McDowell, per vestire i panni del leggendario Dr. Loomis.
La prima parte del film, quella di Myers baby killer per intendersi, sembra promettere uno dei più grandi horror della stagione. La mano calcata del regista si vede eccome. La desolazione della provincia americana e dei personaggi caricati all’estremo nella loro grettezza tipici di Zombie, si fondono alla perfezione col mito del killer più temuto di tutti i tempi. La colonna sonora hard rock diventa adrenalina pura se associata agli occhi schizzati dello psicopatico. Le inquadrature mosse usate con esagerazione creano un’inquietudine continua.
Poi però Myers cresce. Da bambino squilibrato si trasforma in gigante dalla forza disumana che si nasconde sempre dietro una delle centinaia di maschere preparate da lui stesso all’interno della cella. E mentre il mostro è cresciuto il film di colpo si sgonfia. Le inquadrature si standardizzano, il rock sparisce e i nuovi personaggi sono sciapi e di basso profilo. Come se Zombie si fosse assentato di colpo, per tornare poi a girare solo qualche sporadica scena. La sceneggiatura perde tutto ciò che di buono aveva avuto fino a quel momento.
Ne La casa dei 1.000 corpi e La casa del diavolo, e anche nella prima parte del film, si trattava di raccontare la ‘realtà’ di intere famiglie baciate dal male, di personaggi assolutamente surreali che imprecano in ogni scena, così cattivi da far sorridere, e in questo Zombie è maestro. In Halloween – The beginning il compito era quello di rinverdire gli antichi fasti di un singolo personaggio muovendosi all’interno di certi ‘paletti’ che il prequel aveva lasciato in eredità. Bisognava creare la classica figura horror del mostro che prima terrorizza e poi uccide tutti, senza dire una parola. E allora è qui che il 42enne talento del Massachusetts diventa la brutta copia di Wes Craven, accantonando tutto ciò che lo ha reso unico.
In conclusione questo resta comunque un discreto horror, appena sopra la media di quelli recenti. Certo che da Rob Zombie, qui davvero intermittente, era più che lecito aspettarsi di meglio. C’è da sperare che Rob la prossima volta torni a fare lo Zombie, lasciando i remake a qualcuno di meno talentuoso.

VOTO: 53/100


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domenica 16 dicembre 2007

La matrioska sanguinaria di Cronenberg - Recensione de La promessa dell'assassino

Due anni dopo il sorprendente A history of violence torna al cinema l’accoppiata Cronenberg – Mortensen con La promessa dell’assassino, uscito il 14 Dicembre nelle sale italiane.
Una minorenne russa arriva in fin di vita in un ospedale londinese e, dopo aver dato alla luce una bambina, muore. La levatrice che ha assistito al parto, Anna (Naomi Watts), di origini russe, trova il suo diario. È un diario testimone di violenze e soprusi subiti in uno squallido bordello gestito dalla mafia. Una lente d’ingrandimento puntata sulla comunità russa ne mostra il marcio che le lievita intestino. Da una parte la famiglia di Anna, perfettamente integrata, che dirige un vita comune, dall’altra una Famiglia nell’accezione più antica e barbara del termine, dove spiccano figure classiche come quella del Padrino padrone e del figlio inetto (Vincent Cassel) che abusa della sua posizione di protetto. Tra questi si insinua spietata l’immagine di un ‘autista’(Viggo Mortensen) che in realtà ha il compito di lavare i panni sporchi del figlio e che si rivelerà sin dalla sua prima apparizione il personaggio cardine dell’intreccio.
David Cronenberg si prende la briga di raccontare con occhio spietato la realtà della mafia russa, retta da un mix di tradizione, ritualità anacronistica ed ipocrisia. Un modo in cui i tatuaggi che un uomo ha sul corpo ne raccontano la storia, e chi non è tatuato non è nessuno. Il regista fa tutto questo con l’efficace uso della doppia lingua per tutto il film. Da Ivan Drago in poi non si può certo dire che il russo evochi nello spettatore occidentale immagini d’amore e fratellanza. Trascurabile strascico della Guerra Fredda che Hollywood non perde occasione per riproporre con ironia. La storia disegna personaggi meschini, ne tesse le motivazioni giustificandole con una ricerca della virilità a tutti i costi: “ l’importante è non apparire checche”, come viene spesso ripetuto nel film.
Confeziona alcune scene davvero crude (il film è stato anche vietato ai minori di 14 anni), girate però in modo garbato. E proprio questo garbo, questa aplombe danno al film una velata ironia che lo mantiene sempre gradevole. L’eleganza nel vestire, la ricercatezza dei vini con cui si festeggiano i crimini e la cura maniacale di ogni particolare rendono alcuni personaggi così surreali da affascinare.
Mortensen sfoggia un’interpretazione davvero eccezionale, annichilendo le co-star. Cassel è troppo legato a quel ruolo di cattivo senza cuore, e spesso anche senza cervello, che ormai sembra non poter fare altro. Invece il ruolo affidato alla pur sempre efficace Watts sembra avere davvero poco spessore, troppo poco per un film del genere. E poi l’ottima sceneggiatura, uno dei punti di forza del film, pare cucita addosso all’ ex Aragorn. Memorabile la scena, già culto per alcuni, di un Viggo Mortensen nudo che si azzuffa nel bel mezzo di un bagno turco pubblico con due scagnozzi ceceni. Davvero poco british come comportamento.
Una curiosità: nella scena suddetta tra le decine di tatuaggi falsi da galeotto russo che si trovano sul corpo di Mortensen si può chiaramente vedere sulla spalla sinistra quello (reale) che si è fatto alla fine delle riprese del Signore degli Anelli, uguale anche per gli altri otto attori che formavano la Compagnia dell’Anello nel film d’esordio della trilogia.
Agrodolce il finale, nel quale tutti gli altarini verranno svelati, sarebbe stato meglio lasciare incompiuto qualcosa.
Tirando le somme si può dire che Cronenberg, dopo l’esperienza di A History of violence, ha affilato gli artigli ed è riuscito a fare ancora meglio. Un film crudo, che però non regala violenza, ma la dà a chi se l’è meritata. L’ambientazione e la sceneggiatura poi sono senza sbavature, dialoghi ed immagini si fondono perfettamente per tutta la durata della pellicola. Insomma tutto sembra stare al posto giusto in un’opera di sorprendente efficacia visiva. Dasvidanya!

VOTO: 83/100

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sabato 15 dicembre 2007

Ecco le nominations per i Golden Globe Awards 2008

MIGLIOR FILM DRAMMATICO
“American Gangster”
“Espiazione”
“La promessa dell’assassino”
“The Great Debaters”
“Michael Clayton”
“No Country for Old Men”
“There Will Be Blood”

MIGLIOR FILM MUSICALE/COMMEDIA
“Across the Universe”
“La guerra di Charlie Wilson”
“Hairspray - Grasso è bello!”
“Juno”
“Sweeney Todd”

MIGLIOR FILM D’ANIMAZIONE
“Bee Movie”
“Ratatouille”
“I Simpson - Il film”

MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA - FILM DRAMMATICO
George Clooney in “Michael Clayton”
Daniel Day-Lewis in “There Will Be Blood”
James McAvoy in “Espiazione”
Viggo Mortensen in “La promessa dell’assassino”
Denzel Washington in “American Gangster”

MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA - FILM MUSICALE/COMMEDIA
Johnny Depp in “Sweeney Todd”
Ryan Gosling in “Lars e una ragazza tutta sua”
Tom Hanks in “La guerra di Charlie Wilson”
Philip Seymour Hoffman in “The Savages”
John C. Reilly in “Walk Hard: The Dewey Cox Story”

MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA - FILM DRAMMATICO
Cate Blanchett in “Elizabeth: The Golden Age”
Julie Christie in “Away from Her”
Jodie Foster in “Il buio nell’anima”
Angelina Jolie in “A Mighty Heart - Un cuore grande”
Keira Knightley in “Espiazione”

MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA - FILM MUSICALE/COMMEDIA
Amy Adams in “Come d’incanto”
Nikki Blonksy in “Hairspray - Grasso è bello!”
Helena Bonham Carter in “Sweeney Todd”
Marion Cotillard in “La vie en rose”
Ellen Page in “Juno”

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA
Casey Affleck in “L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford”
Javier Bardem in “No Country for Old Men”
Philip Seymour Hoffman in “La guerra di Charlie Wilson”
John Travolta in “Hairspray - Grasso è bello!”
Tom Wilkinson in “Michael Clayton”

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA
Cate Blanchett in “Io non sono qui”
Julia Roberts in “La guerra di Charlie Wilson”
Saorise Ronan in “Espiazione”
Amy Ryan in “Gone Baby Gone”
Tilda Swinton in “Michael Clayton”

MIGLIOR REGISTA
Tim Burton — “Sweeney Todd”
Joel Coen e Ethan Coen — “No Country for Old Men”
Julian Schnabel — “The Diving Bell and the Butterfly”
Ridley Scott — “American Gangster”
Joe Wright — “Espiazione”

MIGLIOR SCENEGGIATURA
Diablo Cody — “Juno”
Joel Coen e Ethan Coen — “No Country for Old Men”
Christopher Hampton — “Espiazione”
Ronald Harwood — “Lo scafandro e la farfalla”
Aaron Sorkin — “La guerra di Charlie Wilson”

MIGLIOR COLONNA SONORA ORIGINALE
Michael Brook — “Into the Wild”
Clint Eastwood — “Grace Is Gone”
Alberto Iglesias — “Il cacciatore di aquiloni”
Dario Marianelli — “Espiazione”
Howard Shore — “La promessa dell’assassino”

MIGLIOR CANZONE ORIGINALE
“Despedida”, da “L’amore ai tempi del colera” [Musica di Shakira e Antonio Pinto, parole di Shakira]
“Grace Is Gone”, da “Grace Is Gone” [Musica di Clint Eastwood, parole di Carole Bayer Sager]
“Guaranteed”, da “Into the Wild” [Musica e parole di Eddie Vedder]
“That’s How You Know”, da “Come d’incanto” [Musica e parole di Alan Menken]
“Walk Hard”, da “Walk Hard: The Dewey Cox Story” [Musica e parole di Marshall Crenshaw, John C. Reilly, Judd Apatow, Kasdan]

MIGLIOR FILM IN LINGUA STRANIERA
“4 mesi, 3 settimane, 2 giorni” (Romania)
“The Diving Bell and the Butterfly” (Francia / USA)
“Il cacciatore di aquiloni” (USA)
“Lussuria” (Taiwan)
“Persepolis” (Francia)