martedì 25 marzo 2008

Recensione di Colpo d'occhio - Punto partita: un Match Point all'italiana



Gloria è una giovane critica d’arte, amante del più anziano Pietro Lulli, una vera e propria istituzione nel campo, che s’innamora di un giovane scultore col quale scappa. Quando le acque sembreranno essersi calmate, Lulli invaderà la vita del giovane artista ed Adrian entrerà nella ragnatela del critico, nella quale si troverà intrappolato. La voglia di sfondare a tutti i costi, il voler primeggiare grazie all’aiuto di un qualche santo in paradiso inquinano anche il mondo dell’arte contemporanea e in particolare l’animo artistico del giovane artista.
Da qui i sotterranei rapporti tra i tre verranno fuori in un finale tanto drammatico quanto risolutivo.
Il film ricalca quella strada battuta negli ultimi anni da Match Point di Woody Allen e, andando più indietro negli anni, dai gialli degli anni ‘70. Un progetto sicuramente interessante e innovativo nella nostra cinematografia attuale, troppo spesso legata a quella voglia di realtà un po’ pacchiana e davvero poco ricercata degli ultimi tempi.
Le interpretazioni del cast tendono alla forte caratterizzazione dei personaggi, e la direzione di Rubini sembra proprio mirare ad una creazione di vere e proprie maschere teatrali. I personaggi sono radicalmente staccati dalla realtà che li circonda, si configurano come delle vere e proprie idealizzazioni quasi caricaturali di ciò che essi rappresentano per la società. Lulli è un ridicolo padrino dell’arte contemporanea, critica tutto e tutti, vive di ciò che gli altri sanno immaginare e creare, compensando la propria sterilità artistica, che trova riscontro anche nella sua vita sessuale (ecco la caricatura), con il potere mediatico che la comunità artistica gli conferisce passiva. Adrian invece è un fuoco di passioni ed istinti sia per l’arte che per Gloria, però si troverà a scendere a patti col diavolo diventando avido e perdendo conseguentemente il lume artistico e il figlio che stava per avere da lei.
L’opera però si sgretola a fronte di continue forzature un po’ stucchevoli e di retroscena troppo prevedibili che si svelano nel finale.
Questo sottolineare ogni particolare, caricandolo di significati forse un po’ forzati, crea un clima troppo sopra le righe che ridicolizza sia il mondo dell’arte contemporanea che la storia dei rapporti interpersonali tra i tre protagonisti.
L’intera costruzione di Colpo d’occhio ha come primo motore la spettacolarizzazione e l’enfasi delle sensazioni e degli istinti dei personaggi. I momenti più significativi della narrazione sono sottolineati da una colonna sonora troppo invadente, che spesso sembra voler calcare la mano quando non ce ne sarebbe bisogno.
Gli attori forniscono comunque ottime prove: da un inaspettato Scamarcio, ben lontano dallo strafottente personaggio che i suoi precedenti ruoli gli hanno cucito addosso, che si rivela intenso e adatto a un ruolo multiforme come questo, per arrivare ad una Puccini enigmatica e commovente, che si esibisce in alcuni nudi integrali che nulla hanno a che vedere con la volgarità calendariana che ben conosciamo. Ovviamente impeccabile Rubini, che ci regala un personaggio ben riuscito nel quale culmina quella teatralità e caratterizzazione di cui il film vive.
A conti fatti Rubini avrebbe potuto raggiungere un risultato ben più gradevole se avesse puntato esclusivamente sulla forzatura dei soli personaggi, modificando in minor modo altri aspetti della pellicola, come lo sconsiderato utilizzo della colonna sonora e il disvelamento totale degli altarini nel finale.

VOTO 59/100


Trailer

Incontro con cast e regista di Colpo d'occhio: Sergio Rubini, Riccardo Scamarcio e Vittoria Puccini


Tutto il film è pervaso da una forte presenza di opere d’arte moderna, sia nelle varie esposizioni che si susseguono, sia nell’arredamento degli interni. Della realizzazione di queste si è occupato Gianni Dessì: “Dessì è un amico dello sceneggiatore del film Angelo Pasquini – dice Rubini – e si è occupato sia di realizzare le opere che di curare la disposizione delle mostre di Adrian Scala. Prima non ci conoscevamo, poi la stretta collaborazione sul set ha fatto sì che diventassimo amici in corso d’opera”.
Anche gli attori si sono dovuti confrontare in prima persona col mondo dell’arte, Scamarcio racconta il suo confrontarsi con l’arte sempre da profano: “Quella del film è stata la mia prima volta alla Biennale. Il mio rapporto con l’arte è abbastanza superficiale. Mia madre è una pittrice, quindi ho delle nozioni di base sugli artisti più importanti, comunque il mio interesse è stato sempre occasionale non assiduo”.
Colpo d’occhio è un’opera che esula dalle tecniche interpretative a cui il cinema italiano ci ha abituato negli ultimi anni, le prove degli attori sembrano forzate e troppo accentuate a volte. Rubini ha fatto questa scelta ispirandosi a cinematografie estere: “Siamo abituati a questo naturalismo, neorealismo, a questo finto buttato lì. Non siamo abituati alla teatralità, che invece troviamo in molte cinematografie estere. Pensavo che questo film avesse bisogno di una forte struttura interpretativa”. E la scelta di Scamarcio non è stata casuale, come conferma il regista: “Scamarcio ha la sua particolarità nella sua ambivalenza. Riesce a sembrare un bambino, ma allo stesso tempo ha quelle caratteristiche da giovane uomo che gli permettono di essere credibile in una duplice veste”.
Vittoria Puccini descrive il suo personaggio: “Sergio mi ha presentato un personaggio che sa intuire la verità, senza però essere mai creduta, un personaggio ambiguo, ma alla fine dei conti comunque positivo. Amo interpretare ruoli che si muovano sul sottile filo tra razionalità e follia”.
Anche Riccardo Scamarcio si sente soddisfatto di essere uscito dai binari che la sua carriera stava percorrendo: “In questo film Sergio mi ha darto la possibilità di lavorare in una vera costruzione del personaggio. Venivo da film le cui cose migliori scaturivano dall’improvvisato, da quel buttato lì di cui parlava anche Sergio”. Riferendosi alla collega afferma: “Lavorare con Vittoria è stata un’esperienza spiazzante, lei è una persona e un’attrice molto particolare, è molto distante, ma anche contemporaneamente molto intima nelle interpretazioni. Questa è una caratteristica riscontrabile in molte attrici degli anni ’50 e ’60”.
Sergio Rubini racconta alla stampa la genesi della sua opera: “Conosco da un po’ Scamarcio, sapevo che nutriva stima per me, ma non avevo ancora un ruolo per lui. Allora ho voluto incontrarlo e, mentre lo aspettavo, mi sono messo a pensare cosa sarebbe successo se dietro quella sua stima per me si fosse nascosto il desiderio di rubarmi tutto quello che so e che ho. E da lì è nato tutto. Poi ci siamo messi a parlare e a confrontarci su cosa sarebbe potuto uscirne fuori. All’inizio avevamo pensato ad un musicista, un direttore d’orchestra, poi Riccardo mi proposto di farne un artista, un pittore, come sua madre, e abbiamo infine convenuto sulla scelta di uno scultore”.
Nel film è totalizzante il rapporto tra critico e artista, Rubini la pensa così a riguardo: “Credo molto nel rapporto conflittuale, ma sempre necessario, tra critico e artista. In fondo sono entrambi presuntuosi, si attraggono e si respingono. Infatti tutto il film si può riassumere nel rapporto dell’uomo con la propria ombra”. Inevitabile un parallelo con il rapporto del regista con la critica cinematografica: “Sinceramente nello scrivere il film non abbiamo pensato assolutamente al critico cinematografico. Abbiamo lavorato maggiormente su un tratto psicologico dei personaggi, slegato dal mondo in cui è contestualizzato, così che tutti ci si potessero ritrovare”.