martedì 24 giugno 2008

Recensione breve di E venne il giorno - Il maestro Shyamalan ci (ri)propone un’opera perfetta e discutibile



Nessun dubbio: M. Night Shyamalan è un cineasta unico. The happening (E venne il giorno) è puro cinema, è quando una macchina da presa sovrasta la storia, è soprattutto immagine pregna di significati. Chi lo ama lo sa, l’indiano è uno di quelli che hanno un talento unico, che va aldilà dell’azzeccare o meno un film, di lanciare tormentoni (vedo la gente morta), di stilare copioni alquanto sgangherati o talvolta insopportabili.
La sua costruzione narrativa poggia interamente sulle scelte di una messa in scena esemplare, di un senso del mezzo tecnico ‘cinema’ ispirato, totale, totalizzante. E venne il giorno ha una storia scialba e deboluccia, da disaster movie di dubbia qualità, da ciclo ‘alta tensione’ per intenderci, gli attori non sono delle star e gli effetti speciali inesistenti, perciò chi si avvicina al film, causa titolo mal tradotto e locandina catastrofica, con velleità alla Emmerich gira a vuoto.
La pellicola dell’indiano è a tutti i livelli un film d’autore, l’assoluta eclissi di lustrini scenografici ed interpretazioni del cast liberano il campo all’espressione totale del talento registico, le inquadrature danno spessore, intenzione ed intensità a personaggi deboli sia per performance attoriali che per attenzioni di sceneggiatura.
Palese che non manchino i difetti, però E venne il giorno è l’esempio, quasi il manifesto, di come il cinema di qualità non si annida esclusivamente negli ambienti bohemienne o in copioni ermetici ai limiti dell’incomprensibile o ingiustificabile, anzi può anche nascere in terreni aridi ed impervi come i disaster movie o gli horror. E Shyamalan né è l’ottimo capostipite.

Tommaso Ranchino

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