lunedì 30 giugno 2008

Recensione di Buongiorno, notte - Un immaginifico resoconto della prigionia di Moro firmato Marco Bellocchio




A 25 anni dalla morte dello statista democristiano per mano delle BR, Bellocchio ci regala una versione dei fatti sui generis, tra fabula e documentario, che siam certi non scivolerà verso il dimenticatoio come è successo ai precedenti “Il caso Moro” e “Piazza delle Cinque Lune” . “Buongiorno, notte” è un film costruito in maniera basilare sulle facce, sugli sguardi, sui silenzi, sui ripetitivi automatismi che hanno caratterizzato quei giorni. Gli ultimi di Moro (uno splendido Roberto Herlitzka): un continuo ripetersi di ore interminabili, di teste nere incappucciate, di lettere scritte e riscritte centinaia di volte, di minestre, sempre le stesse.
Questa volta, infatti, il caso lo consideriamo dalla privilegiata posizione dell’epicentro dello stesso: è l’appartamento di Via Montalcini il palcoscenico principe dove si alternano drammi, psicosi, paure e compassioni che tingono la vicenda.
A coadiuvare partecipa anche il punto d’osservazione introspettivo della protagonista, la carceriera-impiegata brigatista (un’intensa Maya Sansa) dalle cui confessioni è liberamente tratta l’opera, che ci offre una visione inedita, più realistica e plausibile per la verità, dei brigatisti e di Moro stesso.
Di come l’istituzione terroristica sia stata retta da ideali irraggiungibili, da utopie inattuabili che l’hanno inevitabilmente depauperata della spinta vitale e trasformata in un fenomeno pazzoide, incontrollato, mal strutturato. Da contraltare una caratterizzazione di Moro che lo dipinge rassegnato al suo destino, più nonno che politico, più cristiano che democristiano.
E così, giorno per giorno, s’instaurano rapporti invisibili. Tra Moro e i suoi carcerieri. Tra i brigatisti e il Paese, attraverso l’occhio gelido degli innumerevoli Tg. Tra le mura e l’esterno, con la mediazione della protagonista che esce ogni mattina per recarsi al Ministero. Tra la protagonista e il suo collega. Proprio quel collega che diventerà poi grimaldello della mutazione stilistica e della sterzata narrativa su cui l’opera getta le basi della sua indiscussa forza quasi teatrale.
La rappresentazione surreale del segregato, come libero, spensierato, persino guascone, è un’esternazione tangibile del desiderio inconscio di tutti i personaggi, dal carismatico ‘capo’ (Luigi Lo Cascio), ai due brigatisti, culminando in lei.
I quattro carcerieri vivono infatti la segregazione del Presidente, come lo chiamano per tutto il film, come una missione irrinunciabile, imposta. Ciononostante non si ha mai la consapevolezza della giustizia del gesto. Il tutto viene accolto con rassegnata impotenza: da una parte le istituzioni oltranziste che non scendono a patti e nemmeno intavolano una trattativa, dall’altra un manipolo terroristico che vuole mostrare, come ultimo disperato gesto, un’intransigenza che non gli appartiene.
Formalmente è un film coerentemente asciutto, da ogni prospettiva lo si guardi, che gode di una commutazione onirica, quasi deus ex machina, che lo innalza. La ricostruzione dell’epoca viene totalmente affidata, a ragione diciamo noi, alle immagini di repertorio del Tg 1 che intervallano ogni corpo narrativo, tra un comizio della Sinistra massimalista e un discorso ufficiale del divo Giulio o di qualche altro guru D.C.
Di “Buongiorno, notte”, opera commovente e irrinunciabile, ci porteremo sempre l’immagine di un uomo anziano e perennemente contrito spiato attraverso il claudente osservatorio dello spioncino di una porta nascosta, da contrapporre a quella, ben più incoraggiante, di un Aldo Moro liberato, in pigiama, che respira, quasi ebbro di libertà, in una Roma ancora dormiente, che ormai non lo aspetta più.

VOTO 73/100

Tommaso Ranchino

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