venerdì 12 dicembre 2008

Recensione del Bambino con il pigiama a righe


Bruno si è trasferito nei pressi di un campo di concentramento, e la noia delle sue giornate lo spingerà ad avventurarsi aldilà del filo spinato, incontrando la propria maturazione e la consapevolezza di una condizione insostenibile.
L’amicizia infantile tra Bruno, figlio di un ufficiale nazista, e Shmuel, bimbo ebreo rinchiuso in un campo di concentramento, porterà ad un incontro di due realtà opposte, manifestazioni di uno stesso riferimento socialmente allargato, quello dell’umanità gretta e arrendevole.
È proprio il rapporto amicale tra i due che monderà la trasmissione di una situazione violentata dal cinema, come quella della Shoah, in un approccio che tanto richiama, pur se con velleità e stilemi del tutto ineguali, “La vita è bella” e “Le train de vie”. Metaforicamente il regista Mark Herman, affidandosi all’input dell’infanzia, s’interroga sull’inesplicabile realtà di quegli anni. Due bimbi che si specchiano uno nell’altro, risvolti estremi di una situazione hobbesiana e paradossale di homo homini lupus che ancora oggi trova un’acerba analisi o risoluzione almeno intenzionale.
L’assoluta immedesimazione sociale e gerarchica degli adulti, splendida l’interpretazione di Vera Farmiga, scatenerà un vortice di violenza che la singola coscienza di ognuno degli aguzzini difficilmente saprebbe anche immaginare o strutturare: un caso estremo della rappresentatività comunitaria che sfoga i propri tumori attraverso l’imbarbarimento più becero nei confronti della debolezza della minoranza etnica. Una disfunzione che ha generato uno sterminio di dimensioni epidemiche, le quali conseguenze aleggiano ancora nelle rappresentazioni immaginarie di un futuro di convivenze insostenibili.
“Il bambino con il pigiama a righe” sorprende per la capacità di emanciparsi dal clichè del buono e del cattivo, dell’ebreo e del nazista, del bimbo e dell’adulto, in un affresco che trasuda coscienza narrativa e un realismo rivisitato ad hoc per la situazione. Come se il regista fosse stato ignifugo nei confronti degli inebetiti esperimenti ed esercizi narrativi che tale tematica ha ispirato. Lo scuotimento sentimentale facilone e a portata di tutti qui non è minimamente indagato, il garbo nel rappresentare la violenza interna al campo evidenzia una sana dose di rispetto nei confronti di una memoria condivisa e gravosa.
In sostanza un film che tira dritto, non si ferma al primo assunto banale, abbatte le barriere, in primis quelle psicologiche, ricordandoci che il pigiama a righe è stato cucito da noi, su misura delle nostre paure sociali, senza possibilità di una redenzione che non passi per la consapevolezza di una colpa largamente condivisa a tutti i livelli.

VOTO 68/100
Tommaso Ranchino

2 commenti:

Anonimo ha detto...

e un bellissime film mi ha ftt piangere tantissimo...e un film molto drammatico pero e un film allo stesso tempo stupendo risale all' antichità.........complimenti per il film....

Anonimo ha detto...

bellissimo questo film.. è stato davvero bello !! soprattuto la parte in cui fanno pace!!