giovedì 25 dicembre 2008

Recensione di The Spirit


Basato sulla graphic novel di Will Eisner che quando uscì, parliamo del lontano 1940, disse fortemente la sua su ciò che sarebbe venuto dopo, “The Spirit” è il primo film personalmente diretto da Frank Miller, reduce dalla stretta ed ottima collaborazione con Robert Rodriguez per “Sin City”. Ed è proprio da lì che si parte, dall’esperienza che Miller ha avuto sul set con Rodriguez, dove ha capito che avrebbe potuto disegnare i propri film, girare le scene sul green screen, e poi unire il materiale girato alle proprie illustrazioni.
In questi anni, proprio grazie a Miller, ci troviamo di fronte ad una commistione, cinema e fumetto, che verrà ricordata come una delle più fruttuose mai strette tra due arti visive. Prodotti che difficilmente possono essere definiti film, o semplice animazione, qualcosa che prende dal mondo del cinema la cinetica e la dinamicità che un foglio non potrà mai avere, ma che strappa dalle pagine di Miller, o meglio dalla versione milleriana del lavoro di Eisner, quella incredibile creatività cromatico-stilistica a cui un regista canonico non potrebbe mai aspirare. Qui il merito infinito del talento di Miller, un talento così prepotente da portarlo ad eccellere in campi così complessi e diversificati quali il disegno, la scrittura e una schizzata ossessione per i personaggi, tanto per dirne una la striscia di Batman “The Dark Knight” che ha fatto la fortuna del cinefumetto, definizione per la verità strettina in questo caso, meglio riuscito di tutti tempi porta la sua eccellente firma.
Certo la conduzione di un film è altra cosa, “The Spirit” sembra rubare troppo a “Sin City”, distorcendo la natura più pop, alla “Watchmen” diciamo, del lavoro di Eisner. Ed allora l’impatto visivo, che in assoluto è ottimo, poco e male si amalgama con la storia dell’ex poliziotto innamorato della sua città. E più in generale tutto risulta troppo frazionato, riducendosi ad un insieme di siparietti, singolarmente riusciti, ma che uno appresso all’altro lasciano tante perplessità.
Il fiore all’occhiello del primogenito di Frank Miller è l’ironia che lo attraversa in lungo e in largo, il cupo noir di “Sin City” è qui dolce e demenziale, il ‘villain’ Octopus (Samuel L. Jackson), alter ego maligno del protagonista inscenato dal poco carismatico Gabriel Macht, attira le benevolenze dei lettori/spettatori nella sua spasmodica delirante ricerca del superuomo, passando goduriosamente per i travestimenti nazisti che ricordano più il naziporno “La bestia in calore” che “Schindler’s list”. Un teatro dell’assurdo, quello di Samuel L. Jackson, sarcastico e parodico, dotato di una vivace cromaticità che avremmo voluto vedere lungo tutta la pellicola. Splendida anche la Send Saref di Eva Mendes, esplosa più che mai in tutto il suo intrigante fascino, donna che preferisce, e di gran lunga, i diamanti alla vita vera, gli amori d’interesse a quello vero. E proprio sugli amori e sui continui colpi di fulmine del protagonista la novel si riderà addosso più volte, facendoci rider di gusto anche a noi per la verità.
Un risultato agrodolce, che pende comunque verso una promozione con riserve, che risente in malomodo dell’onda lunga del riuscito “Sin City”, scimmiottandolo eccessivamente, invece di coglierne gli elementi che avrebbero potuto essere utili a rendere al meglio il messaggio di Will Eisner, dove la città è l’unico vero amore del protagonista, su cui tra l’altro ci si sarebbe potuti scervellare di più in fase di casting. Qui invece quella che dovrebbe essere un’immaginaria New York, altro grande amore, assieme alle donne, di Frank Miller, fa solo da sfondo e da musa dei deliranti monologhi narranti del suo ‘spirito’ di superomino, altra fotocopia di “Sin City”.

VOTO 58/100
Tommaso Ranchino

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