giovedì 1 gennaio 2009

Recensione film: Ultimatum alla terra


Una sfera mastodontica è atterrata a Manhattan, Central Park. Il mondo è atterrito, il Presidente Usa se l’è già data a gambe e Klatuu, ambasciatore alieno, è uscito allo scoperto per avvertire il genere umano che la Terra non gli appartiene, visto l’animo distruttivo della nostra specie.
Il remake di “Ultimatum alla Terra” arriva al cinema, a 57 primavere di distanza dall’originale firmato Robert Wise, cineasta sperimentatore che ha attraversato innumerevoli generi (“Elena di Troia”, “West Side Story”, “Tutti insieme appassionatamente”, “Star Trek”). La mano contemporanea dell’inesperto Scott Derrickson (“The exorcism of Emily Rose”, “Hellraiser V”) connota l’intenzione del film su di un altro strato, se nel ’51 il messaggio pacifista insigniva il valore dell’opera, oggi la vena scolasticamente ambientalista di questo ennesimo remake, isterica tendenza hollywoodiana che sta prendendo sempre più, ne tarpa le ali e le facoltà narrative. Nella realizzazione formale poi questa natura di mezzosangue trova il suo solare esibirsi: alla fotografia ed agli approcci cromatici dal gusto retrò che si lasciano intravedere qui e lì non viene dato il giusto spazio, ripiegando sulla scialuppa di salvataggio, nonostante effetti speciali ben gestiti, di una formalità meticcia, tra il b-movie falsamente ricreato e il distaster movie d’oggi.
In uno scorrere affrettato, a tratti televisivo, la pellicola molesta la visione con la assoluta decostruzione di personaggi manierati e scribacchiati. Il cast inabissa assieme alle proprie maschere, il solo Keanu Reeves sguazza in un ruolo che ben gli si cuce. La sua inespressività viscerale, che si porta dietro dagli esordi, trova un completo adempimento nella disgregazione emotiva di un personaggio alieno. Il completo firmato e la pelle grigiastra fanno il resto.
Il sorvolare sbrigativo del film poco riporta alla forza che avrebbe meritato la sensazione claustrofobica di un’isteria di massa, egregiamente vista in “E venne il giorno”, un contorno onnipresente che a giochi fatti risulta il fulcro delle intenzioni di sceneggiatura e girato. Tendenzialmente “Ultimatum alla Terra” decide di non sporcarsi le mani, di fare un passo indietro, di riportare un genere in recessione come la sci-fi ad una risoluzione semplicistica e scevra di complessità. Un buco nell’acqua per la cinematografia odierna, che con le ottime prove di Shyamalan e di Danny Boyle (“Sunshine”) ha nel suo arco le frecce giuste per ricominciare a centrare il bersaglio nel largo bacino di fan, disillusi, della fantascienza.
Il singolare nucleo famigliare composto da Jennifer Connelly e Jaden (figlio di Willie) Smith si specchia falso e distorto in una mendace riproposizione di un’integrazione condivisa, oppure è semplicemente un raggiro mediatico imposto dal babbo alla Fox in una clausolina di chissàquale faraonico contratto. Fatto sta che è un ulteriore elemento minante, manifesto di uno sconclusionato lavoro di preproduzione.
“Ultimatum alla Terra” non merita una visione, godendosi qualche buon risultato visivo non si giustifica una completa disattenzione nei confronti della storia, a tratti mortalmente tediosa, a tratti nauseatamente già vista. Peccato per un genere nobile, che meriterebbe un rispetto reverenziale capace di bloccare velleità produttive come questa.

VOTO 45/100
Tommaso Ranchino

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