martedì 27 gennaio 2009

Recensione di Italians


Si apre con “Tarareando” dell’Orchestra di Piazza Vittorio l’ultimo di Veronesi, degli stranieri che fanno musica in Italia dischiudono così quelle folkloristiche danze che gli italiani che si trovano in terra straniera sembrano saper cadenzare come nessun altro popolo.
Due episodi raccontano un’italianità da esportazione, soprattutto cafona, ma anche misercordistica, godereccia prima, umanitaria poi. Quattro le facce da italiano che il regista plasma, trasforma, umanizza. Facce da Scamarcio, da Castellitto, da Verdone, da Bandiera, prodotti diversi di un cinema invece davvero poco esportabile, che si riferisce, Veronesi è garanzia in tal senso, ad un innalzamento esponenziale delle cariche emozionali di avvenimenti in realtà di poco conto. Una poetica alla quale il regista ci ha iniziato con i due manuali per innamorati scemi, e che sembra coltivare anche in questo “Italians”, arricchendola dell’interessante idea di metterci tutti un po’ in discussione, in una sorta di simil“Sorpasso” nel primo episodio, che scatena una riflessione on the road tutta all’italiana. Un cinema attaccato ad una filosofia becera, delle pisciate chiarificatrici nel deserto e del sex tourism che tanti connazionali sembrano apprezzare, che però perde aderenza quando si vuole mostrare romanzo di formazione, sfornando in un tripudio iperglicemico di buonismo due finali così così, uno pessimo per il vero. A quel punto meglio ancora sarebbe stato continuare la strada intrapresa, scandagliando più a fondo la nostra fissazione per le donne leggere e straniere, per il soldo facile che spesso cerchiamo all’estero, occultando la parte sin troppo umanizzata che distrae e confonde le idee, completando un ritratto a quel punto sì manierato e sin troppo vincolato alla drammaturgia del cinema spicciolo.


Il Verdone sempre impasticcato ed ipernevrotico dei film di Veronesi torna, dopo prove agrodolci, a far ridere di gusto; pur se ingabbiato in un personaggio scritto malino, l’attore romano si ispira alla commedia all’italiana, cosa che difficilmente in un passato fatto di macchiette e manierismo aveva provato a fare, riproponendosi in una veste che, lui assicura, sarà quella definitiva d’ora in poi. Dopo aver lasciato il proprio testamento artistico in “Grande, grosso e Verdone” si rimette in pista puntando sull’esperienza e la conoscenza che la maturità gli ha donato, ed è un godimento la scena che regala nel secondo episodio.
Di contro poco graffiante la prova di un immenso interprete quale Sergio Castellitto, che evidenzia, e conferma, scarsa propensione genetica per lo scorrimento comico di film del genere, risultando sempre forzato quando cerca il sorriso del pubblico, ed invece incredibilmente bravo e magnetico quando ne cerca la riflessione o la reazione emotiva. Di suo Scamarcio fa lo Scamarcio, forse ancor meno ispirato del solito, che sfoggia ahinoi un imbarazzante accento romano, e Bandiera conferma una potenzialità d’istrione ancora poco indagata e spremuta a dovere dall’industria dello showbiz nostrano.


Comunque va dato atto a Veronesi, e ad “Italians”, di metter in circolo un cinema a metà tra la boiata commerciale e la commedia impegnata, pendendo meritevolmente più per la seconda, almeno nelle intenzioni, restituendo solo parzialmente quella dignità che il genere ha conosciuto tempo fa. La strada da fare è tanta, ma pare che la buona volontà, sotto tanti aspetti, ci sia.

VOTO 55/100
Tommaso Ranchino

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