lunedì 12 febbraio 2007

Recensione: Crash, contatto fisico


Paul Haggis, tipo particolare. Nel 1991 due uomini di colore gli rubarono l'auto. Lui cominciò a fantasticare sulle loro esistenze. E volle farci un film. Ed ecco nel 2005 le sale di tutto il mondo inondate da Crash, pellicola dal cast vasto ma non d'eccezione, costata appena 6 milioni di dollari (Brad Pitt ne prende circa 20 a film), Miglior Film agli Oscar 2006.

Un dozzina di variegati personaggi vivono 36 ore nella Los Angeles post 11 Settembre, dove le varie comunità razziali convivono con disincantata indifferenza, da "separate in casa". Scenario ideale per 113 minuti di rara intensità. La fotografia buia si fonde alla perfezione con una colonna sonora struggente. Continui sbalzi di volume amplificano scene già assordanti per impatto visivo.

Storie di "razzismi" che si incrociano, paradossi che evidenziano la complessità dei conflitti razziali made in Usa. I buoni e i cattivi si scambiano i ruoli così tante volte che non li riconosci più. E alla fine tutti si ritrovano a dover fare i conti con gli stessi fantasmi fatti di incomprensioni e incomunicabilità che troppe volte sembrano invalicabili.

Dopo aver sceneggiato l'acclamato Million Dollar Baby di Clint Eastwood, Haggis scrive e, per la prima volta, dirige un'opera completa e senza sbavature, come fosse un veterano.

Un film che ti catapulta tra le highway di L.A., dove nessuno cammina, tutti guidano e l'unico modo per avere un contatto con gli altri sono gli incidenti stradali...

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