lunedì 2 novembre 2009

Il Festival si chiude con Sotto il Celio Azzurro, il (multi)colorato documentario di Edoardo Winspeare

Il documentario "Sotto il Celio azzurro" ha chiuso questa quarta edizione del Festival romano. Una chiusura dedicata al piccolo fenomeno sociologico che è questo asilo, il Celio Azzurro. Un luogo quasi idilliaco dove dei maestri anticonvenzionali crescono figli di immigrati, di coppie miste e anche di italiani, un luogo dove non esistono classi, non esistono banchi o registri. L'insegnamento è qualcosa di più profondo, viscerale, al Celio azzurro si permette ai bambini di scoprire in primis loro stessi, per poi potersi confrontare serenamente con i compagni che arrivano da tutto il mondo.

Edoardo Winspeare torna al documentario con un affresco che trasuda umanità e voglia di vivere sin dalle primissime battute, le continue 'lezioni' fatte di giochi e scherzi sono un modello sorprendente di integrazione ed accettazione del diverso. Tutti quelli che vi lavorano sono i primi ad essere perfettamente integrati con gli alunni, ma soprattutto con i genitori, infatti il lavoro che si fa è prima di tutto con loro, i quali saranno parte fondamentale, quasi grimaldelli, del percorso dei bambini. Un'educazione-gioco che inizierà per i ragazzini la mattina quando svegli e finirà prima di addormentarsi.

Romania, Marocco, Senegal, Armenia, Perù si ritroveranno in questo piccolissimo angolo di mondo al centro di Roma. Un angolo dimenticato dalle istituzioni, che oggi combatte con i tagli che la riforma ha sancito, lottando continuamente con la mancanza di fondi e con le falle strutturali dell'edificio che rendono tutto più difficile.

Il percorso di Winspeare incapperà anche nelle forti personalità degli educatori-maestri, che verranno descritti con epica ammirazione, dotando le personalità di questi di un'aura che emana incessantemente una poetica consapevolezza dell'altro. E durante questa splendida strada che è "Sotto il Celio Azzurro" il documentario saprà divertire, più del previsto, il pubblico. Si perde subito il conto dei momenti spassosi che, un po' i ragazzini, un po' gli educatori, grazie alle ottime scelte di Winspeare, metteranno su. Gli occhioni di bambini spaventati dai giochi, o forse storditi da questo tsunami di vitalità che l'asilo è per le loro giovani esistenze, i giochi spensierati di uomini di mezz'età che hanno dedicato anima e corpo alla causa, avranno stabile lo sfondo di una società incosciente, dove esperimenti come questo vengono accantonati più per paura di una perfezione assoluta e sospetta che per cause realmente esistite.

Il documentario del regista pugliese è un urlo di vita che infrange i sottili vetri di una società ancora ibrida e poco multiculturale nel proprio animo, una pennellata d'arcobaleno nel nuvoloso momento tutto italiano, dove le tensioni tra le comunità religioso-razziali continuano a seminare ignoranza ed incultura.

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