Il documentario "Sotto il Celio azzurro" ha chiuso questa quarta edizione del Festival romano. Una chiusura dedicata al piccolo fenomeno sociologico che è questo asilo, il Celio Azzurro. Un luogo quasi idilliaco dove dei maestri anticonvenzionali crescono figli di immigrati, di coppie miste e anche di italiani, un luogo dove non esistono classi, non esistono banchi o registri. L'insegnamento è qualcosa di più profondo, viscerale, al Celio azzurro si permette ai bambini di scoprire in primis loro stessi, per poi potersi confrontare serenamente con i compagni che arrivano da tutto il mondo.
Edoardo Winspeare torna al documentario con un affresco che trasuda umanità e voglia di vivere sin dalle primissime battute, le continue 'lezioni' fatte di giochi e scherzi sono un modello sorprendente di integrazione ed accettazione del diverso. Tutti quelli che vi lavorano sono i primi ad essere perfettamente integrati con gli alunni, ma soprattutto con i genitori, infatti il lavoro che si fa è prima di tutto con loro, i quali saranno parte fondamentale, quasi grimaldelli, del percorso dei bambini. Un'educazione-gioco che inizierà per i ragazzini la mattina quando svegli e finirà prima di addormentarsi.
Romania, Marocco, Senegal, Armenia, Perù si ritroveranno in questo piccolissimo angolo di mondo al centro di Roma. Un angolo dimenticato dalle istituzioni, che oggi combatte con i tagli che la riforma ha sancito, lottando continuamente con la mancanza di fondi e con le falle strutturali dell'edificio che rendono tutto più difficile.
Il percorso di Winspeare incapperà anche nelle forti personalità degli educatori-maestri, che verranno descritti con epica ammirazione, dotando le personalità di questi di un'aura che emana incessantemente una poetica consapevolezza dell'altro. E durante questa splendida strada che è "Sotto il Celio Azzurro" il documentario saprà divertire, più del previsto, il pubblico. Si perde subito il conto dei momenti spassosi che, un po' i ragazzini, un po' gli educatori, grazie alle ottime scelte di Winspeare, metteranno su. Gli occhioni di bambini spaventati dai giochi, o forse storditi da questo tsunami di vitalità che l'asilo è per le loro giovani esistenze, i giochi spensierati di uomini di mezz'età che hanno dedicato anima e corpo alla causa, avranno stabile lo sfondo di una società incosciente, dove esperimenti come questo vengono accantonati più per paura di una perfezione assoluta e sospetta che per cause realmente esistite.
Il documentario del regista pugliese è un urlo di vita che infrange i sottili vetri di una società ancora ibrida e poco multiculturale nel proprio animo, una pennellata d'arcobaleno nel nuvoloso momento tutto italiano, dove le tensioni tra le comunità religioso-razziali continuano a seminare ignoranza ed incultura.
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