lunedì 2 novembre 2009

MP News incontra Giorgio Diritti, Alba Rohrwacher e Maya Sansa per "L'uomo che verrà"


Giorgio Diritti ed il cast del suo film "L'uomo che verrà" hanno presentato al Festival Internazionale del Film di Roma un'opera intensa e realistica sulla strage di Marzabotto.

(al regista) Come mai la scelta di girare in dialetto? Non pensa che possa essere una difficoltà per la diffusione del film?

Giorgio Diritti: "La mia scelta di girare in bolognese antico rientra in una logica generale di creare un forte coinvolgimento e un realismo tale da riportare lo spettatore direttamente a quell'epoca. Infatti ci siamo ben presto accorti che il dialetto bolognese attuale richiamava troppo gli anni '70 e i camionisti e perciò aveva una valenza nettamente diversa dalla situazione sui monti nel 1943, e allora abbiamo giocato la carta del bolognese antico. Devo dire che tutti gli attori sono stati bravissimi, infatti li ho incontrati due settimane prima di iniziare a girare e mi hanno dato tutti il loro assenso. Trovo che l'uso del dialetto ci aiuti a fare un salto indietro nel tempo, si rida un sapore e un suono che gli italiani hanno perso".

Il film ha un forte impatto visivo. Come ci siete arrivati?

Giorgio Diritti: "Il lavoro visivo che abbiamo fatto ha diverse fonti. È nato in primis dalle fotografie in b/n di quell'epoca. Poi ci siamo riferiti anche ad una serie di foto a colori fatte dai soldati americani. Infine c'è stata un'osservazione della produzione artistica relativa alla campagna nell'800-900. Tutti questi elementi infine si sono fusi ed ho usato il mio istinto per le inquadrature". Che ricerca storica è stata fatta? Giorgio Diritti: "Abbiamo fatto una ricerca soprattutto sulla realtà dei fatti. Mi hanno descritto quei ragazzi nazisti, ed erano tutti molto giovani, ciò testimonia che erano persone nate e cresciute sotto il regime nazista. Formate quindi in un certo modo, erano per educazione portati a considerare i diversi, gli italiani in questo caso, come una sottospecie, come fossero subumani. Per loro non faceva differenza uccidere una mucca, una donna o un topo. Il film ha delle basi storiche molto attente. Poi ho cercato di non cadere negli stereotipi, le cose che raccontiamo sono tutte più o meno accadute, quel che m'interessava maggiormente era raccontare la drammaticità di uomini che ne uccidono altri con quella estrema naturalezza".

Nel film i partigiani vengono chiamati ribelli, perché questa scelta?

Giorgio Diritti: "Ribelli era il normale modo di definire chi era contro i fascisti e contro i tedeschi. Di chi quindi non ci stava e si ribellava al regime. Sostanzialmente era un termine gergale senza un peso politico importante".

Che distribuzione avrà il film?

Giorgio Diritti: "Sarà distribuito da Mikado (uscirà il 29 gennaio n.d.r.) e ovviamente c'è un progetto specifico legato alle proiezioni per le scuole. I sopravvissuti invece ancora non hanno visto il film, ci saranno delle proiezioni sul territorio, lì certamente ci sarà una cura particolare. Poi Intramovies è il nostro venditore per l'estero ed ha già riscontrato degli interessi".

(alle attrici) Raccontateci la vostra trasformazione in contadine di quegli anni.

Alba Rohrwacher: "La prima cosa che mi ha spinto è stata la fiducia che Giorgio ha avuto in noi. Aveva visto in noi una capacità di fusione con le facce che aveva scelto. Poi ovviamente nello specifico c'è stato un grande lavoro con i costumi, il trucco e con i capelli, che aiuta un attore a diventare altro da sé. Io e Maya ci siamo mischiate bene con le persone con cui abbiamo lavorato, volevamo soprattutto unirci a loro per raccontare una storia che sentivamo la necessità fosse raccontata".

Maya Sansa: "Oltre a quello che ha detto Alba c'è stato un grande lavoro dei costumisti, dei truccatori e della parrucchiera, sono stati molto attenti a riprodurre quell'aspetto, riportando anche quella sporcizia, che non era un'assenza di igiene, ma una vera e propria mancanza di condizioni. Poi anche i vestiti erano fuori misura e un po' arrangiati, perché ai tempi ce li si passava da madre in figlia. Inoltre il luogo dove abitavamo durante la lavorazione, che era un agriturismo, è stato molto importante per creare gruppo e poi lì c'era questa donna che ci ha insegnato a fare il pane, lei lavorava tutto il giorno tra i campi e la cucina. Ci ha trasmesso una grande energia di donna lavoratrice".

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