mercoledì 28 ottobre 2009

Recensione L'uomo che verrà


Giorgio Diritti porta al Festival del Cinema di Roma un film che racconta la strage di Marzabotto, un massacro senza precedenti perpetrato dalle SS il 29 settembre 1944 che portò alla cruenta uccisione di 770 tra donne, contadini e bambini.

Il film del regista del sorprendente "Il vento fa il suo giro" vuole essere un racconto delle umanità interrotte, di una serie di barbarie sconsiderate e senza freni. Il cineasta bolognese conferma le sue qualità, costruendo un film che parla al pubblico attraverso il paesaggio e le facce di chi da quel paesaggio dipende, accantonando facili trappoloni da film storico o bellico.

Un'opera che guarda al realismo, un'opera interamente recitata nell'antico dialetto bolognese, ormai in disuso, per scaraventarci alle condizioni di fame e ignoranza di quegli anni lì e soprattutto di quel momento storico. Per rendere il tutto ancor più scarno ed efficace Diritti filtra il suo racconto attraverso gli occhioni di Martina, ragazzina muta, o che non vuole parlare, che curiosa continuamente il mondo che la circonda, trovandosi di volta in volta di fronte ad immagini raccapriccianti ed insostenibili.

"L'uomo che verrà" è però figlioccio di tanto materiale con il quale cinema italiano si è già troppe volte confrontato, ha un suo sguardo se vogliamo più intimista ed asciutto, anche se nel finale alza troppo i toni, ma non riesce comunque a colpire nel segno.
Un buon prodotto quindi, delicato, ben condotto e coerente, ma nulla di più. Si aggiudica comunque la palma del migliore degli italiani in concorso, non che ci volesse un granchè a sbaragliare lo sparring partner "Viola di mare" e lo sprecato "Alza la testa".

Alcune scelte resteranno fisse nella mente di chi lo vedrà, vedi il dialetto, le ambientazioni e le facce che calzano a pennello con i due elementi precedenti, resta però lo sconcerto per la scelta fatta a monte dal regista di imbarcarsi in un progetto così didattico che più di tanto non avrebbe potuto dare.

VOTO 65/100

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