Il film del regista del sorprendente "Il vento fa il suo giro" vuole essere un racconto delle umanità interrotte, di una serie di barbarie sconsiderate e senza freni. Il cineasta bolognese conferma le sue qualità, costruendo un film che parla al pubblico attraverso il paesaggio e le facce di chi da quel paesaggio dipende, accantonando facili trappoloni da film storico o bellico.
Un'opera che guarda al realismo, un'opera interamente recitata nell'antico dialetto bolognese, ormai in disuso, per scaraventarci alle condizioni di fame e ignoranza di quegli anni lì e soprattutto di quel momento storico. Per rendere il tutto ancor più scarno ed efficace Diritti filtra il suo racconto attraverso gli occhioni di Martina, ragazzina muta, o che non vuole parlare, che curiosa continuamente il mondo che la circonda, trovandosi di volta in volta di fronte ad immagini raccapriccianti ed insostenibili.
"L'uomo che verrà" è però figlioccio di tanto materiale con il quale cinema italiano si è già troppe volte confrontato, ha un suo sguardo se vogliamo più intimista ed asciutto, anche se nel finale alza troppo i toni, ma non riesce comunque a colpire nel segno.
Un buon prodotto quindi, delicato, ben condotto e coerente, ma nulla di più. Si aggiudica comunque la palma del migliore degli italiani in concorso, non che ci volesse un granchè a sbaragliare lo sparring partner "Viola di mare" e lo sprecato "Alza la testa".
Alcune scelte resteranno fisse nella mente di chi lo vedrà, vedi il dialetto, le ambientazioni e le facce che calzano a pennello con i due elementi precedenti, resta però lo sconcerto per la scelta fatta a monte dal regista di imbarcarsi in un progetto così didattico che più di tanto non avrebbe potuto dare.
Nessun commento:
Posta un commento