
sabato 29 novembre 2008
Intervista ad Oliver Stone per W.

Incontro con Roman Polanski

Il regista, intervistato da Nanni Moretti, parla del suo cinema, in occasione della retrospettiva dedicatagli al Torino Film Fest
giovedì 27 novembre 2008
Recensione film: New Orleans mon amour (Fuori Concorso)

mercoledì 26 novembre 2008
Recensione film: Wendy and Lucy (Fuori Concorso)

Recensione film: Bitter and twisted (Torino 26)

Recensione film: Momma's man (Torino 26)

Recensione film: We've never been to Venice (Torino 26)

martedì 25 novembre 2008
Recensione film: Prince of Broadway (Torino 26)

Lucky è un immigrato clandestino ghanese che si guadagna la pagnotta, ed anche qualcosa in più, vendendo merce firmata contraffatta a Broadway, New York. La sua vita sembra scorrere fluida, tra droghe, vestiti alla moda e una donna che, a modo suo, ama, fino a che una sua ex di origine portoricana gli recapita un pacco a dir poco oneroso: un bambino. Non avendo la sicurezza della paternità, vista anche la carnagione chiara, Lucky prende comunque con sé il bimbo, e quella che doveva essere una convivenza temporanea finirà per diventare qualcosa di più, che cambierà radicalmente l’intera esistenza del protagonista. Il regista e sceneggiatore Sean Baker, 37enne newyorkese, al suo terzo lungometraggio dopo “Four letter words” (2000) e “Take out” (2004), torna a porre l’accento su New York, e sull’intricato tessuto etnico-sociale che la compone. L’aggressività urbana tipica della Grande Mela non perde colpi dietro la macchina da presa, quasi perennemente a spalla, del cineasta, anzi. Sequenze caotiche e un montaggio frazionato, forse troppo nel complesso, filtrate dall’occhio di un’innocenza infantile, tutte sensazioni sgraffignate da una vivida realtà mediante la selezione di una cifra radicalmente naturalistica. Un’aderenza alla realtà che affibbia credibilità ad una pellicola che, altrimenti, avrebbe potuto banalmente inciampare nel macchiettistico, in un senso, o nel mockumentary, in un altro. Ed invece ci si trova di fronte ad una climax emotiva inattesa, retta soprattutto dall’ottimo personaggio, e l’ottimo interprete, di Lucky, il quale riconsegna la singolare conformazione di una virilità moderna. Il re del quartiere, che vive senza limiti o relazioni fisse, e che impara passo dopo passo ad amare un bambino lo si è visto innumerevoli volte sullo schermo, ma in una salsa priva di originalità, qui invece il finale non arriva come naturale conseguenza di una data e certa idea di cinema, ma come tappa, o meta, di un percorso marcatamente introspettivo del protagonista, dove viene anche lasciata aperta una porta sul retro e le certezze tangibili abitano solo i sentimenti di Lucky. Merito a Sean Baker, e a Prince Adu, di aver riportato fedelmente, e con mezzi modesti, uno spaccato della black life e del calderone sociale più in generale di New York City, attraverso una storia che strappa sorrisi alternati ad amare riflessioni, sfilacciandosi comunque un po’ nel finale, dove sembra voler annacquare troppo la minestra quando non ce ne sarebbe davvero bisogno.
Recensione film: Gigantic (Fuori Concorso)

domenica 16 novembre 2008
Intervista a J.J. Abrams che ha presentato a Roma alcune sequenze in anteprima mondiale dell'atteso Star Trek

E Abrams non era proprio uno di quelli: “Non sono mai stato un fan di Star Trek. Quando lo guardavo non riuscivo a sentirmi coinvolto dalle vicende, non riuscivo a trovare un punto di contatto ed una connessione con i personaggi.

Nel cast sono presenti Chris Pine (Kirk), Zachary Quinto (Spock), Zoe Saldana (Uhura), Eric Bana (Nero) e Wynona Rider (Amanda Greyson).
Le scene che ha presentato alla stampa romana evidenziano un ottimo lavoro fatto intorno ai personaggi e l’utilizzo di falshback e flashforward, marchi di fabbrica anche di Lost e del suo lavoro più in generale. Risate ed azione poi non mancheranno di certo, ed allora il progetto sembra voler portare elementi innovativi in un genere che troppo spesso predilige impegnarsi negli effetti visivi e nella dinamicità dell’azione trascurando i caratteri dei personaggi e la direzione del cast.

Il regista descrive così il lavoro svolto da lui: “I personaggi della storia sono fantastici, davvero, ed il cast con cui ho lavorato è sinceramente eccezionale. L’obiettivo che mi son posto sin da subito è stato quello di dare il giusto peso e controbilanciare la storia ed i personaggi con l’aspetto tecnologico della pellicola. L’elemento che poteva differenziare il mio Star Trek dagli altri progetti del genere era il fatto che portasse lo spettatore ad amare e ad appassionarsi più che alle astronavi a chi c’è dentro”.
Questa mattinata romana insomma ha incuriosito ed ingolosito appassionati e non, non resta che aspettare che l’Enterprise, ed il suo equipaggio soprattutto (Abrams docet), atterrino a maggio 2009 nelle nostre sale cinematografiche.
Recensione di The orphanage

Laura, cresciuta in un orfanotrofio sul mare, decide di tornarci a vivere con il marito e con il figlio adottivo Simòn, per metter su una casa famiglia. Da quando si trasferiranno nell’ex orfanotrofio la loro vita non sarà più la stessa, presenze inquietanti che infestano la casa causeranno la scomparsa di Simòn, e di lì Laura inizierà un percorso, tra il flashback e l’onirico, che riporterà a galla avvenimenti terrificanti accaduti trent’anni prima.
L’enorme villa semibuia, porte che scricchiolano e stanze segrete sono tutti elementi di genere che però qui, vista la differente intenzione ultima del regista, assumono colorazioni diverse, apparendo reali e non artefatti, perciò più terrificanti e disturbanti.

“The Orphanage” poi si muove su due differenti piani d’azione, ed accanto al classico immaginario dell’horror consegna sullo schermo interessanti dualismi: tra il mondo adulto e quello infantile, tra il nucleo familiare ed una comunità di orfani, tra il reale ed il paranormale. Un’indagine quella nel paranormale che non inciampa nel surreale o nel banale, come succede sempre oltreoceano, e che culmina in una riuscitissima scena con Geraldine Chaplin, figlia di Charlie, forse una delle sequenze più coinvolgenti del genere degli ultimi anni.
L’esordiente cineasta si affida ad una regia classica e coerentemente funzionale agli stilemi di genere, rivelandosi sorprendentemente bravo nel creare tensione ed angoscia, servendosi di un ottimo uso delle luci e della fotografia, e non peccando di egocentrismo artistico, difetto comune a molti filmaker contemporanei; l’uso delle accelerazioni e della telecamera a spalla è sempre giustificato da un’impellente esigenza scenico-narrativa e non risulta mai pleonastico. A militare fedelmente dalla parte della storia anche una colonna sonora che non invade mai, a tratti troppo patinata forse, che però nelle scene cardine non tradisce.

A coadiuvare con credibilità lo scenario fatto di bambini deformi, di maschere inquietanti e d’infanzie interrotte che il film crea, c’è un’ottima Belèn Rueda, già vista accanto a Javier Bardem ne “Il mare dentro” di Alejàndro Amenàbar, che con intensità e carica scenica si sobbarca l’intero impianto emotivo della sceneggiatura, non risultando mai sovraccarica o sopra le righe.
“The Orphanage” è quindi un bell’esperimento (riuscito) che non verrà ricordato come capolavoro, ma potrà certamente attestarsi come modello di un genere rivisitato, portando alla ribalta l’esordiente Bayona, meritevole di aver ben gratificato l’intenzione di veicolare sentimenti positivi, quali l’amore materno, attraverso la commistione di generi disomogenei come l’horror ed il fantasy.
VOTO 77/100
Intervista a Juan Antonio Bayona, sorprendente regista esordiente di The orphanage

Impossibile non notare l’influenza sia di Guillermo Del Toro, che ha presentato il film in giro per il pianeta, che di Alejàndro Amenàbar nell’opera, il regista, alla prima esperienza al cinema, Juan Antonio Bayona ce la racconta così: “Mi sono ispirato molto al lavoro di Narciso Ibáñez Serrador, che ha girato due film: “Ma come si può uccidere un bambino?”e “La residencia”. Soprattutto quest’ultimo mi è stato di grande ispirazione, una pellicola del 1969 che ha incredibilmente precorso i tempi, sia per la sceneggiatura che per l’ambientazione. Altri film a cui mi sono ispirato sono ovviamente “The Others” di Alejandro Amenabar ed anche a “Lo spirito dell’alveare” di Victor Erice”.

Una cosa che salta subito all’occhio vedendo il film è la diversità ed il distacco che prende dalla produzione statunitense di genere: “Ritengo che il miglior cinema horror e fantasy si faccia in Europa oggi come oggi. In America ci sono grandi produzioni ma la qualità non sempre è di buon livello, invece in Europa si ha più coraggio di sperimentare e, sia in Spagna che in Francia, si fanno perciò film più trasgressivi che non si limitano a rientrare nei dettami di genere”.
Magistrale l’interpretazione di Belèn Rueda, a cui molti attribuiscono gran parte dei meriti della riuscita dell’opera, il regista ci racconta la sua scelta: “Lei aveva lavorato nel cortometraggio di un mio amico e l’avevo ovviamente apprezzata in “Mare dentro” di Amenabar, a cui come ho già detto mi sono molto riferito, quindi scegliere lei per me è stato un po’ come chiudere un cerchio. Sono stato assolutamente ripagato della scelta, ha dato anche più di quello che potevo aspettarmi, è stata fantastica”.
Dopo il successo internazionale che “The orphanage” ha riscosso la carriera dell’esordiente Bayona sembra poter prendere un velocissimo decollo, ci illustra i progetti per il futuro: “Sto sviluppando un paio di progetti attualmente: uno, ancora una volta in collaborazione con Guillermo Del Toro, prodotto dalla Univesal, che tratterà di un’isteria di massa negli Stati Uniti scaturita per volontà del governo e l’altro in Spagna visto che voglio lavorare sia all’estero che in patria, dato il forte legame che mi lega alla mia terra”.
Recensione de La fidanzata di papà

Dopo il successo (limitatamente al botteghino) di “Matrimonio alle Bahamas” della scorsa stagione, torna quella spina dorsale che ormai da qualche anno fronteggia la banda De Sica nella sfida, tutta all’italiana, per il primato d’incassi di Natale. Spina dorsale formata dallo scissionista Massimo Boldi, da Enzo Salvi, Biagio Izzo e I Fichi d’India. Ad aggregarsi al gruppone, come tradizione richiede, anche qualche comico apparso alla ribalta da poco, preferibilmente del vivaio Zelig, quest’anno tocca alla brava e siciliana Teresa Mannino. Le bonone di turno sono la Canalis e la Bush. Ma quest’anno la pellicola ha un asso nella manica, perlomeno dal punto di vista dell’appeal commerciale, ossia la presenza di Simona Ventura, first lady dei reality targati Rai e della tv nazionale spazzatura, nei panni della co-protagonista femminile.

Le premesse per un altro botto ci sono tutte. Inutile rodersi il fegato e sforzarsi troppo per annichilire un’opera che col cinema vero e proprio non ha nulla a che fare, e non ha neanche ambizioni in merito. L’italiano ha dimostrato in più occasioni, una volta l’anno da 25 anni per l’esattezza, di aver bisogno di pellicole del genere, di cibarsene avidamente quando gli viene richiesto.
La trama è la solita, trita e ritrita da anni, che sembrano secoli ormai, due famiglie che s’incrociano vista l’unione dei figliocci, e di lì equivoci a non finire.

Una comicità sempliciona e un po’ datata quella che ci propone il regista e sceneggiatore Enrico Oldoini, militante di vecchio corso della commedia nostrana (“Anni ’90”, “Vacanze di Natale” ’90 e ’91, “Yuppies 2”). Una comicità ormai sorpassata, che non diverte più neanche la vecchia guardia di afficionados, fatta di gag stucchevoli in cui Boldi gira nudo, in cui gli irritanti Fichi d’India si rendono ridicoli ed insopportabili scena su scena, in cui ci sono i bacarozzi nelle zuppe e dove ormai Er Cipolla non raccoglie più il successo di un tempo.
A contrapporsi, leggermente, a questo trend che guida nel baratro intellettuale ed artistico più becero, ci sono le buone vene comiche di Nino Frassica, esilarante, di Biagio Izzo, bravo nel vestire i panni di una donna, e della sorprendente Teresa Mannino, lieta scoperta.

Altro elemento, tanto indispensabile e presente da anni ormai quanto di un gusto a dir poco discutibile, è la scelta progettata e ragionata di cavalcare furbescamente l’onda dell’attualità. E questa volta si è andati forse troppo oltre: in “La fidanzata di papà” la Ventura racconta che ha avuto una storia extra coniugale con un famosissimo, soprattutto in questo periodo afferma, uomo di colore. Forti dell’uscita prevista già da tempo a ridosso dell’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti, gli sceneggiatori hanno scommesso sulla vittoria del senatore dell’Illinois. Il cattivo gusto, grazie al cielo, si è limitato all’insinuazione, tra l’altro più che palese, grazie alla scelta in post produzione di tagliare alcune scene, su tutte quella in cui Boldi rincorre la Ventura dicendogli: “Ma gli schiaffi così li davi anche ad Obama?”, oppure quella in cui la Ventura al cellulare accenna un Happy birthday alla Marylin al Presidente dicendogli: “Ma sei già alla Casa Bianca? Ah no, è vero ci vai a Gennaio”.

Insomma questo è un film di bassa qualità, come era già facile ipotizzare, che fa ridere poco e male, ma questo oggettivo giudizio non fermerà di certo la massa dall’affollarne le sale (ben 600) che lo ospiteranno. Non ci resta che scrutare impassibili, ed aspettare tempi migliori.
E se il Natale invece di arrivare prima non arrivasse mai? L’Italia potrebbe sopravvivere? Siam certi di sì.
VOTO 35/100
Intervista al cast de La fidanzata di papà

Nel film si fa riferimento, neanche troppo velato, a Barack Obama. Boldi ce lo spiega: “Sicuramente siamo in tema con i nostri giorni, ed il nome che poi Simona mi rivela alla fine si dovrebbe capire tra le righe che è lui. Non l’abbiamo detto perché mi sembrava fosse una cosa esagerata, l’importante era farlo capire”. Enrico Oldoini, regista e sceneggiatore, aggiunge: “Quando abbiamo scritto a Febbraio la sceneggiatura abbiamo scommesso sulla vittoria di Obama. Sia nella sceneggiatura che nelle riprese ci sono delle scene che fanno espresso riferimento a Obama, noi le abbiamo tagliate perché ci sembrava troppo sfrontato. Abbiamo preferito poi alludere, senza dire il nome e senza precisare”.

Immancabile il riferimento alla battuta sull’abbronzatura, che assomiglia molto ad alcune gag del film, del neo Presidente degli Stati Uniti fatta dal premier Berlusconi, anche produttore di fatto visto che il film è targato Medusa, Boldi ridendo ci dice: “Non ci mettiamo d’accordo prima, forse lui ha preso da noi probabilmente. È così veloce che è riuscito a leggere nel nostro pensiero come E.T., un extraterrestre”.
La coppia che funziona di più sullo schermo è quella formata da Teresa Mannino e Nino Frassica, che ci raccontano l’esperienza: “Il mio lavoro sul personaggio – dice la Mannino - è stato inesistente, essendo io una siciliana pettegola e gelosa mi veniva molto naturale. Non ho lavorato né sul carattere, né sui movimenti.
Con Nino ci siamo subito, da buoni siciliani, squadrati da lontano, poi però devo dire che io ho seguito tutte le indicazioni di Nino, che mi ha fatto ridere quando ero una ragazzina. Lui e Massimo sono stati dei maestri sul set”.
Frassica, al solito pungente, ci confida: “Ho inserito di mia invenzione il fatto che il mio personaggio parlasse in terza persona. Devo ringraziare un tronista di Uomini e Donne, che diceva: ‘Giovanni non fa così, Giovanni è un’altra persona’ ed io mi chiedevo: ‘Ma chi è sto Giovanni?’. Poi ho scoperto che Giovanni era lui. Subito dopo aver visto la trasmissione ho chiamato Enrico e glielo ho detto, lui è stato subito d’accordo”.
Per la prima volta la Canalis veste i panni della cattiva: “E’ la prima volta che mi trovo a far questa parte negativa, prima nei pochi ruoli che ho avuto in fiction e in qualche film ho sempre fatto la bambolina. Felicity è la cattiva della storia che cerca di mettere i bastoni tra le ruote ai piccioncini, poi però alla fine c’è un cambiamento in positivo”.

Simona Ventura, arrivata in ritardo a causa dei suoi innumerevoli impegni televisivi, racconta l’esperienza sul grande schermo: “Ero molto preoccupata, non essendo il cinema il mio mondo. Enrico, siccome ero terrorizzata da questa idea, è venuto a Milano ed abbiamo preparato le parti prima. Mi ha fatto capire cosa voleva da me: un personaggio molto diverso da quella che sono in tv. Mi ha detto di sottrarre tutto quello che avevo addosso. Il film è stato girato molto in presa diretta, massimo 2 o 3 ciak. Spero che questa sia la ciliegiona sulla tortona di un’annata davvero piena”.

Nonostante tutti gli impegni che la Rai le sottopone la Ventura, in chiusura, non nasconde di voler continuare ed intraprendere una carriera come attrice: “I tempi del cinema sono diversi da quelli televisivi, per me è stata una vacanza quella di Miami. Mi sono trovata benissimo con il resto del cast, d’altronde il successo nasce dallo spogliatoio in ogni cosa che uno fa. Mi piacerebbe fosse questa una seconda parte della mia vita, anche perché dico sempre che forse è arrivato il momento di dosare un attimo le forze. Mi piace cambiare, amo molto il cinema, appena posso ci vado. Un domani potrebbe essere il mio futuro”.