mercoledì 26 novembre 2008

Recensione film: We've never been to Venice (Torino 26)


La tendenza, quasi maniacale, con la quale la 26ma edizione di Torino sta sottoponendo all’occhio di pubblico e critica opere che ritrovano nella rielaborazione del lutto i loro leit motiv, trova, in questo breve (62’) film sloveno, il suo personalissimo momento più alto e significativo.
Ancora lutto e ricordo allora, ma inseriti in uno spirito di cinema encomiabile per coerenza ed asciuttezza. Personaggi muti che urlano con i gesti e con gli sguardi assenti, inquadrature fisse, colonna sonora timida e una cinetica della macchina da presa che non si mette mai in mostra, tutti tasselli di uno splendido mosaico per cinefili curiosi ed innamorati.
Quando il padre viene a trovare Grega e sua moglie Masha si respira subito l’aria pesante di un qualcosa di insostenibile accaduto da poco, a cui “We’ve never been to Venice” non fa mai esplicito riferimento. Proprio quest’epifania omessa, che lascia largo margine d’azione al non detto e al fuori campo, che viene anche utilizzato con senno in un paio di sequenze, contempla l’idea narrativa di un esordiente che proviene dal mondo del cortometraggio, risentendone positivamente l’influenza. Il lavoro di sottrazione, iniziato e portato a termine dall’autore, consente di sfruttare appieno la potenzialità del cinema, l’industria paroliera e logorroica è qua mortificata ed annichilita dall’affermazione dell’immagine-senso. Splendida messa in scena e composizione curata e mai ridondante sono l’ottimo surrogato di una sceneggiatura irrilevante, le relazioni dei personaggi prendono corpo in un altalenante susseguirsi di sensazioni contrastanti, lui e lei si attraggono e si respingono, non si parlano mai ma la sensazione è quella di averli sentiti discutere per ore, tanta e buona è la veemenza scenica che ne scaturisce.
La ricerca di una felicità possibile nella fuga dall’ambiente di riferimento, il viaggio in Sudamerica come cura di tutti i mali, elementi metaforici abusati e violentati dalla letteratura e dalla cinematografia internazionale, qui ritrovano una loro dignità, perché cercare altrove ciò che si può trovare accanto, se non dentro di noi? E allora la meta di una gita purificatoria sarà la vicina Venezia, dove anche l’ennesimo incontro metaforico con l’acqua, altro elemento con cui il regista gioca più volte, arricchirà il percorso dei personaggi.
Una nota lietissima, l’arte cinematografica sfruttata sino in fondo, che mostra le sue infinite potenzialità attraverso le quali la messa in scena può, di suo, scatenare riflessioni e trasmettere sensazioni. Un’immagine che produce senso, tra gesti abbozzati ed una trama che si spoglia pian piano, è una visione davvero riconciliante per chi ama il cinema e le sue varianti più minimaliste.
VOTO 78/100

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