domenica 16 novembre 2008

Recensione di The orphanage


Laura, cresciuta in un orfanotrofio sul mare, decide di tornarci a vivere con il marito e con il figlio adottivo Simòn, per metter su una casa famiglia. Da quando si trasferiranno nell’ex orfanotrofio la loro vita non sarà più la stessa, presenze inquietanti che infestano la casa causeranno la scomparsa di Simòn, e di lì Laura inizierà un percorso, tra il flashback e l’onirico, che riporterà a galla avvenimenti terrificanti accaduti trent’anni prima.
Vera rivelazione del cinema iberico, acclamato in patria e all’estero, il primo lungometraggio di Bayona rivisita il genere horror in chiave fantastica, quasi fiabesca, con un risultato che, anche se a tratti risulta troppo edulcorato, non può che compiacere chi lo guarda. Difficilmente si cerca il salto sulla poltrona dello spettatore, al quale viene fornita una trama lineare e ben indagata, l’attenta ricerca, fatta in sede di scrittura del plot, nel costruire i personaggi trova riscontro e conseguente giovamento nel risultato complessivo, più che nelle singole sequenze.
L’enorme villa semibuia, porte che scricchiolano e stanze segrete sono tutti elementi di genere che però qui, vista la differente intenzione ultima del regista, assumono colorazioni diverse, apparendo reali e non artefatti, perciò più terrificanti e disturbanti.


“The Orphanage” poi si muove su due differenti piani d’azione, ed accanto al classico immaginario dell’horror consegna sullo schermo interessanti dualismi: tra il mondo adulto e quello infantile, tra il nucleo familiare ed una comunità di orfani, tra il reale ed il paranormale. Un’indagine quella nel paranormale che non inciampa nel surreale o nel banale, come succede sempre oltreoceano, e che culmina in una riuscitissima scena con Geraldine Chaplin, figlia di Charlie, forse una delle sequenze più coinvolgenti del genere degli ultimi anni.
L’esordiente cineasta si affida ad una regia classica e coerentemente funzionale agli stilemi di genere, rivelandosi sorprendentemente bravo nel creare tensione ed angoscia, servendosi di un ottimo uso delle luci e della fotografia, e non peccando di egocentrismo artistico, difetto comune a molti filmaker contemporanei; l’uso delle accelerazioni e della telecamera a spalla è sempre giustificato da un’impellente esigenza scenico-narrativa e non risulta mai pleonastico. A militare fedelmente dalla parte della storia anche una colonna sonora che non invade mai, a tratti troppo patinata forse, che però nelle scene cardine non tradisce.


A coadiuvare con credibilità lo scenario fatto di bambini deformi, di maschere inquietanti e d’infanzie interrotte che il film crea, c’è un’ottima Belèn Rueda, già vista accanto a Javier Bardem ne “Il mare dentro” di Alejàndro Amenàbar, che con intensità e carica scenica si sobbarca l’intero impianto emotivo della sceneggiatura, non risultando mai sovraccarica o sopra le righe.
“The Orphanage” è quindi un bell’esperimento (riuscito) che non verrà ricordato come capolavoro, ma potrà certamente attestarsi come modello di un genere rivisitato, portando alla ribalta l’esordiente Bayona, meritevole di aver ben gratificato l’intenzione di veicolare sentimenti positivi, quali l’amore materno, attraverso la commistione di generi disomogenei come l’horror ed il fantasy.

VOTO 77/100
Tommaso Ranchino

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