giovedì 23 ottobre 2008

III Festival di Roma - Incontro con David Cronenberg


Il visionario filmaker canadese si presenta con un viso disteso e rilassato, emana enigmatica serenità dietro quegli occhi che ci hanno filtrato nel corso degli anni figure assurde, menomazioni, violenze raccapriccianti. È assolutamente diverso dai suoi film.
Una Sala Petrassi gremita lo accoglie, lo stuolo di fan non è indifferente e lui non delude. Tra gli spezzoni dei suoi film (La mosca, Inseparabili, Existenz, La promessa dell’assassino ed History of violence) regala aneddoti divertenti e pareri fuori dal coro sulla cinematografia statunitense. Afferma, con un malizioso sorriso, di aver declinato, ovviamente, l’offerta di regia per Top Gun : “Mi dispiace ma io non capisco questo tipo di patriottismo americano, d’altonde sono canadese”. Ha detto no anche a Star Wars: “Non mi piace lavorare con materiale altrui”. E come biasimarlo. Un’attitudine per un cinema visionario e ricercato come il suo non può in alcun modo conciliarsi con l’industria fracassona e facilona che Hollywood negli ultimi anni propina: “Penso che in Francia il cinema sia visto come un’arte, in America no. I primi a non dare un connotato ed un valore artistico ai film di Hollywood sono proprio gli americani”.
Nella sua filmografia ricorrono tematiche comuni, che non manca di sottolineare con acuta accortezza nell’incontro di Roma: la trasformazione fisica, l’attenzione morbosa per i corpi, la ricerca di realtà parallele. Questi sono argomenti che hanno portato Cronenberg ad essere un regista popolare e di nicchia al contempo: “Quando fai un film per forza di cose comunichi col pubblico, devi farlo, ed usi tutto ciò che può connetterti con questo. Io non penso assolutamente di aver fatto film di cassetta, ad oggi il mio film che è andato meglio al box office è ancora La mosca, che è di vent’anni fa. Mi è capitato di sentirmi chiedere da Oliver Stone se ero contento di avere un’audience così limitata, ma secondo me non è assolutamente limitata, ogni regista quando fa un film sceglie a chi parlare. Ovvio che i miei film non parlano allo stesso pubblico a cui parla un blockbuster di Hollywood”.
È fondamentale e sempre curato all’inverosimile nel cinema del canadese, chi lo ama lo sa, l’aspetto che riguarda la post-produzione (suono, montaggio, ecc..): “Secondo me, soprattutto oggi, la post-produzione fa a pieno titolo parte della produzione. Il suono aggiunge una 3° dimensione alla pellicola e per questo un lavoro fatto male e con poca sintonia in fase di montaggio sonoro può addirittura rovinare un film, oppure cambiarlo radicalmente. Per questo ho affermato, e lo ripeto, che Kubrick’s Eyes Wide Shut è per forza di cose un’opera incompleta”.
Nonostante venga spesso messo alle corde con domande assurde il regista ne esce sempre con stile e garbo, quasi a manifestare la superiorità di chi sa stare al mondo senza volersi far vedere, mantenendo un low profile nel privato e, cosa fondamentale, parlando al mondo intero con la sua opera, con la sua inconfondibile, anche se negli anni si è trasformata di continuo, cifra stilistica.
A dimostrare la poliedricità di Cronenberg Mario Sesti ha illustrato i suoi impegni artistici collaterali: ha da poco debuttato con uno spettacolo teatrale, il musical de La mosca, diretto da lui, insieme a Placido Domingo, il suo romanzo, che “per ora ha solo 60 pag. - confida- ma non sarà un horror”, ha già una rete distributiva importante in tutto il mondo (Bompiani in Italia) e, più importante, il secondo motivo per cui si trova a Roma, ossia la mostra di sue opere pittoriche che si terrà al Palazzo delle Esposizioni fino al 7 novembre.
Stasera il giovane Festival di Roma si coricherà sicuro di aver regalato alla sua città un’oretta e mezza di cultura cinematografica che, da sola, varrebbe l’organizzazione dell’intera kermesse. Ed allora ben vengano Festival così, se aiutano le persone, e non gli addetti ai lavori, ad avvicinarsi al grande cinema di qualità che il mercato internazionale offre.
"Non si può fare film senza essere creativi”, e se lo dice lui, crediamoci.

Tommaso Ranchino

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