domenica 26 ottobre 2008

III Festival di Roma - Recensione di Baksy


“Baksy” è un piccolo film kazako della regista Guka Omarova, già apprezzata dalla crtica dei Festival internazionali con “Schizo”, che racconta la storia di una sciamana di nome Aidai, ma non solo. Aidai ha capacità ultraterrene e la sua presenza rende accettabile e straordinaria la vita in una landa desolata ed arida. Quando però gli interessi di un criminale locale le porteranno via la sua terra tutto andrà a sgretolarsi, svelando risvolti inattesi.
La pellicola si fa forte della carismatica figura di una protagonista come non se ne vedono spesso, ma lo fa con parsimonia. La figura principale è in video per un’esigua tranche del film, che verso la metà si trasformerà in opera di genere, con rapimenti, riscatti, omicidi e pistole. Rimarrà comunque presente nelle sensazioni e nelle aspettative di tutti i personaggi, per poi riapparire in un finale ottimamente strutturato.


È questa la particolarità che segnala il poco ambizioso “Baksy”, quella di implementare tanti film in uno solo, la narrazione sfrutta l’elemento sovrannaturale con un rispetto estetico verso la veridicità della pellicola che raramente si riscontra in progetti simili. L’attaccamento alla terra, che può esser facilmente inteso come rispetto per la natura, è, pur se taciuto, elemento centrale del simbolismo e della poetica. La direzione del cast verso una recitazione naturalista, difficile fare altrimenti con tali mezzi e tali condizioni, qualifica e responsabilizza ancor più l’approccio verista del cineasta kazako.
Quando poi il film prende una piega inaspettata lo spettatore è consapevole che la sterzata è strumentale al fine primo, il kitsch e lo squallore delle ambientazioni ‘cittadine’, che per buona parte sono le uniche cose che si vedono, si piazzano in forte contrapposizione alla situazione brada della casa della sciamana ormai demolita.


Un progetto interessante, davvero. Ma troppo difficilmente esportabile nel nostro panorama distributivo. Pressochè impossibile mantenere alta l’attenzione in un cinema che trascina dei ritmi naturalmente diversi, un background culturale assolutamente impervio e non decodificabile.
Una chicca di cui solo i festivalieri più attenti potranno giovare. Omarova, ci si vede al prossimo Festival.

VOTO 73/100
Tommaso Ranchino

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