sabato 25 ottobre 2008

III Festival di Roma - Recensione di L'Heure d'ete


Assayas porta sullo schermo tematiche quali il lutto, la famiglia, il ricordo tramite un linguaggio alternato all’interno dell’opera, momenti caotici e dispersivi vengono pian piano sostituiti da sequenze ben riuscite.
Quando tre fratelli perdono l’unico collante che hanno, la madre, la famiglia si sgretola pian piano, subendo una diaspora definitiva, evitata fino a quel momento dalla presenza della genitrice.
Il talentuoso regista sfrutta bene ancora una volta il mezzo che ha tra le mani, ogni inquadratura contiene significativi punti di vista, però questa volta si presenta meno efficace e diretto. La carica drammatica della prima parte è praticamente nulla, un muro divide lo spettatore dai protagonisti ed il coinvolgimento ne risente. Stratagemma certamente creato ad hoc da Assayas, vedi l’Allen di Match Point.
La poetica ricercata, colma di allusioni metaforiche, viene fuori alla lunga, quando il film acquista volume, si emancipa dalla tematica del lutto, diviene un affresco insolito ed affascinante di una famiglia come tante, di ragazzi parigini come ce ne sono a migliaia, raccontati qua con occhio benevolo e sognante, forse nostalgico.
Le figure della casa di famiglia da mettere in vendita e delle inestimabili opere d’arte da dismettere, elemento principale dell’esistenza e della convivenza che questa famiglia aveva conosciuto, si sobbarcano una valenza prepotente e totalizzante all’interno del registro narrativo. Simbolismi che assegnano al significato insito nelle varie opere d’arte un valore non solo affettivo e commemorativo, ma anche un aspetto di rifugio dalla realtà, una voglia di voler fermare il tempo, di fotografare edonisticamente l’esteticità di un’esistenza, di un amore. Così come la madre non faceva altro che parlare del fratello, affermato artista di fama internazionale, rivivendone l’amore incestuoso che avevano condiviso attraverso l’affermazione e la divulgazione delle sue opere, così il figlio maggiore, l’unico rimasto a Parigi, attraverso l’ossessione per la casa di famiglia e per le opere che la popolavano resta aggrappato ad una situazione familiare ormai lentamente, inesorabilmente, naturalmente tramontata.
Il rinnovamento generazionale e l’accettazione inconscia del mutamento della propria situazione culmina nella scena finale della festa organizzata dai nipoti della defunta, quando la casa, già sgombra e prossima alla vendita diviene teatro di una festa tra ragazzi d’oggi.
Un’opera complessa, a tratti magnifica, a tratti farraginosa, che lascia in fin dei conti attratti ed affascinati.

VOTO 70/100
Tommaso Ranchino

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