venerdì 24 ottobre 2008

Recensione film: Un barrage contre le Pacifique


Indonesia Francese, era coloniale. Una famiglia, formata da una vigorosa vedova, la sempre strepitosa Isabelle Hùppert, un figlio, il bello e spaccone Gaspar Ulliel, ed una figlia sedicenne interpretata dal magnetico viso di Astrid Berges-Frisbey, si trova a dover lottare col presidio territoriale francese per poter mantenere il lotto di terreno coltivabile in cui e di cui vive. Non sarà il governo francese l'unico nemico da affrontare, anche il mare che ha reso incoltivabili le risaie di famiglia dovrà essere arginato attraverso la faticosa costruzione di una diga sul Pacifico, un barrage contre le Pacifique per l'appunto. Il film del cambogiano Rithy Panh punta tutto su un paio d'ingredienti eccezionali: la Hùppert, che fa da collante per tutta la pellicola, tra fratello e sorella, tra popolo indonesiano e governo francese, tra lo spasimante di Suzanne e il nucleo familiare e, in secundis, l'ambientazione. A tal proposito in Un barrage contre le Pacifique ci vengono proposte scene di un valore estetico incredibilmente efficace, nelle quali uno squallido bar costruito su di una cabana ricrea magicamente le atmosfere dei cafè e dei bistrot parigini, diventando punto di ritrovo dei nostalgici coloni, alcuni dei quali non hanno mai visitato la capitale francese, arricchendole di una dimensione esotica che le unicizza; grammofoni che suonano soavi pezzi della chansòn alla francese, balli che si alternano tra i vari personaggi, talvolta danze amorose, talvolta mezzi di scalata sociale, bottiglie di champagne assaporate di primo pomeriggio, tutto decorato da un cast che sfoggia visi da copertina davvero invidiabili. Ad alternarsi a queste sensazioni si presentano, con molta meno efficacia però, i risvolti della madaglia: lo sfruttamento del latifondo, e di chi ci vive di conseguenza, da parte sia dei Francesi prima che dei Cinesi poi, la malattia che arriva quando meno te l'aspetti, la precarietà economica in cui i tre vivono e gli strani rapporti morbosi che si vengono a creare all'intero del menage familiare, resi ancor più visibili dalla comparsa sulla scena di un facoltoso cinese che nutre un amore subdolo per la 16enne Suzanne. Sono proprio questi rapporti intricati a paralizzare per buona parte l'opera, distogliendo l'attenzione, facendo mancare drammaticità ad alcune scene fondamentali, vedi un finale poco sentito e subito rimosso da chi lo ha visto. Le sovrastrutture narrative che si accavallano, pur non minando la comprensione complessiva, confondono ed a tratti annoiano. Dopo quasi due ore di proiezione la sensazione che si ha è quella di non trovarsi di certo davanti ad un capolavoro, lungi dallo sfiorarlo, ma di aver assistito ad un film in fondo sconclusionato, ma dotato, ed è un grandissimo merito nel cinema d'oggi, di una sua certa epicità trascinante, che aggancia ed ammalia, come fa d'altronde Suzanne con Mr. Jo per tutta la pellicola.
VOTO 67/100

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