martedì 28 ottobre 2008

Recensione film: Iri


Il regista cinese Zhang Lu (Desert dream, Grain in ear) parte da un evento realmente accaduto nel 1977. Nella città del sud della Korea Iri l’esplosione della stazione causò anche il crollo di molti palazzi circostanti e uccise migliaia di persone. La vita andò avanti, la città cambiò nome, ma alcune ferite non si chiusero mai. Questo il pretesto per raccontare una storia ambientata ai giorni nostri. Jin-seo è una ragazza che ha un lieve ritardo mentale, dovuto per l’appunto ad un incidente dovuto all’esplosione (ecco una di quelle ferite che non si riemargineranno più), vive con il fratello e lavora come inserviente in una scuola di cinese. Un film dall’elevata carica drammatica che riporta una situazione limite: la protagonista, vista la sua pura ingenuità dovuta al suo disturbo, si trova a venir sfruttata sessualmente da tutti gli uomini con cui si relaziona. Uno sguardo duro verso la società moderna, un’analisi disincantata della natura umana, quella virile in particolare. L’unico personaggio maschile positivo è un immigrato clandestino iracheno, il quale, per un’ironia malevola, sarà invece l’unico che verrà accusato dalla comunità di violenza nei confronti della giovane. Proprio lui che non ne aveva mai approfittato finisce nel mirino, un bersaglio sin troppo facile per una cittadina infestata da ipocrisia ed insoddisfazione. Una serie innumerevole di personaggi trova la propria affermazione solo attraverso l’esibita violenza sessuale. L’aspetto formale dell’opera percorre la strada battuta dalla maggior parte del cinema autoriale asiatico. Le dimensione temporale è allungata, le vicende si snodano con una lentezza inesorabile, spesso portata all’inverosimile e all’irritante. La mancanza totale di colonna sonora, che avrebbe potuto colmare qualche spazio, penalizza ancor di più il ritmo, inesistente, appesantendo anche le scene meno significative. Zhang Lu si segnala comunque per una splendida messa in scena, messa a servizio di inquadrature sempre fisse. La costruzione di alcuni fotogrammi è altamente significativa, cinema e senso combaciano per alcuni momenti sullo schermo, in uno degli istanti cinematografici tecnicamente più interessanti dell’intero Festival di Roma. Un film da consigliare ai soli appassionati di cinema orientale che sono abituati a certi ritmi non proprio serrati, gli altri difficilmente capirebbero la direzione e le scelte di un cinema per niente leggero come quello di Zhang Lu.
VOTO 68/100

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