domenica 26 ottobre 2008

III Festival di Roma - Recensione de Il sangue dei vinti


Dopo i tedeschi La banda Baader Meinhof e Schattenwelt, anche l’Italia si cimenta nella rivisitazione dell’interpretazione di un ricordo partecipato del proprio passato non troppo remoto.
Il sangue dei vinti, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Giampaolo Pansa, è ricavato dalla fiction di due puntate che andrà in onda nei primi mesi del 2009 sulla Rai. Michele Placido e Barbara Bobulova sono i protagonisti di una storia banale, rivisitata in chiave revisionista e pacificata, dove le colpe vengono equamente divise tra partigiani e repubblichini.


Formalmente la pellicola contiene tutti i difetti che una produzione televisiva può offrire: fotografia patinata, recitazione da sceneggiato, sceneggiatura popolare.
Anche se Soavi cerca di inserire elementi di genere, il giallo verso il quale sembra tendere inizialmente il film scema dopo i primi venti minuti, per lasciare spazio ad un intricato tentativo di descrivere in maniera improbabile ed affrettata le realtà del Paese.
I due fratelli del protagonista assurgono, come facce della stessa medaglia, a modelli esplicativi per la didattica elementare dell’opera: da una parte Ettore (Alessandro Preziosi), partigiano tutto ideali ed istinto, dall’altra Lucia, arruolatasi nella Repubblica di Salò dopo aver perso il marito nel bombardamento di San Lorenzo. Entrambi scenderanno a compromessi con la propria morale, uno per portare avanti l’idea, l’altra per esternare il rancore lancinante.


Le interpretazioni lasciano davvero a desiderare, bisognerebbe aver visto la versione completa che andrà in tv per dare un giudizio complessivo, ma nel film presentato al Festival né Placido né la Bobulova, quelli da cui ci si aspettava qualcosa di più, regalano buone prove. Il resto del cast, come in tutte le produzioni tv, accentua ogni espressione, che esce ridicola o sovraccarica. I continui primi piani, necessari sul piccolo schermo, creano irritazione ed angoscia al cinema.
Il sangue dei vinti è un prodotto, forse anche passabile in tv, che sul grande schermo ha davvero poco senso. Le tematiche, il linguaggio, la cifra, oltre alla realizzazione formale, mal si sposano col pubblico cinematografico che dovrebbe avvicinarsi al progetto, essendo per natura facilmente assimilabili dalle masse di telespettatori.

VOTO 43/100

Tommaso Ranchino

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